La sicurezza ci permette di lavorare al nostro sogno

di Stefano Pancari
LA SICUREZZA CI PERMETTE DI LAVORARE AL NOSTRO SOGNO

C’è una cosa che sopra tutte prende tutte le nostre energie mentali ed è la perdita di una persona cara. Non riuscirei a scrivere né del trentesimo anniversario di Nevermind dei Nirvana né di nient’altro. La perdita di una persona che ci è cara è come un suono che rende tutto il resto rumore di fondo.
Una telefonata di un mio caro amico, ma non solito a chiamarmi, mi ha risvegliato dalle mie attività del giorno “Ciao Steo, ma Sonia è morta?”. Gelo. Con ogni probabilità Clet pensava che ne fossi già al corrente, ma così non era. È come un pugno che ricevi in pieno zigomo, senti caldo e ti rintrona tutta la testa, ma è soltanto dopo qualche secondo che ti arriva tutto il calore del dolore come se fosse lava.
Poche ore prima la persona tra le mie più care, seppur in buono stato di salute, è stata colta da un malore senza scampo. Interruttore giù. Buio.

Nel quotidiano siamo sommersi da mille altri pensieri, ma in momenti come questi si spalancano in pochi minuti le porte della memoria. Le serate nei bar, la Thailandia e gli innumerevoli concerti passati uno alla spalla dell’altro: dai The Cure ai Radiohead, dai Muse ai Red Hot Chili Peppers, ma in assoluto Daniele Silvestri, Subsonica e Caparezza. Andare ad un concerto per noi era un rituale. Appuntamento al Tenax e poi una lunga serata tra Decibel, luci e birra. Io mi fermavo sempre un po’ prima di lei con il bere, ero l’unico tra i due ad avere la patente e ci tenevamo a riportare la pelle sana e salva a casa.

The Cure – Firenze Rocks 2019

Sonia se n’è andata via per un infarto improvviso, solo Madre Natura sa se i ritmi della vita l’hanno portata a questo epilogo o semplicemente quel giorno è toccato a lei. Certo, penso che sottovalutare il rischio che ci porta ad avere ritmi di vita come quelli che abbiamo, potrebbe facilitare un fine corsa anticipato. Per questo prendersi meno sul serio ci alleggerirebbe da tante tensioni, così come imporsi delle pause che rallentino quella corsa frenetica del lavoro è un atto dovuto a noi stessi e agli altri su cui impatta la nostra esistenza. Sottovalutiamo il valore che ha la qualità della nostra vita in riferimento alla durata della vita stessa.

Sonia è stata inghiottita nello spazio di una lancetta quando segna il secondo. Ora ci sei, un secondo dopo non ci sei più. La lancetta segna uno spazio infinitesimo, ma sufficiente per finirci dentro con tutto il corpo e l’anima precipitando in un buco nero con viaggio di sola andata. Può succedere per fatalità, ma è così che succede anche quando le persone muoiono in un incidente stradale e sul lavoro. Tante volte in queste occasioni non siamo noi la causa, ma in altrettante altre volte avremmo potuto fare in modo di non infilare il piede in quello spazio infinitesimo.

In un secondo è raro riuscire a cavarne le gambe, ormai è tardi ed il buco nero ti aspira come l’aspirapolvere con un frammento di carta velina. Così hai un infarto proprio quando attorno a te non c’è nessuno, la fune si spezza a decine di metri di altezza o qualcosa che indossi si impiglia in un rullo divorandoti. Un istante dopo è tutto finito, almeno per te. Finiscono i sogni di crescere una famiglia, la carriera, gli amici e tutto ciò a cui aspiriamo. Ma non finisce solo per la vittima. Una telefonata arriverà a chi gli è più vicino e quel cazzotto allo zigomo comincerà a sanguinare e bruciare come lava. Il calvario da quel momento è tutto loro e non possono tirarsi indietro.

Sta a noi decidere ogni giorno se non concedere quel secondo con i nostri comportamenti, guidando con attenzione, lavorando con diligenza e non dando niente per scontato. Così facendo lasceremo i dadi soltanto a Madre Natura, il destino o a qualsiasi altra cosa in cui crediamo. Almeno così non gli renderemo la vita facile.

Lavoriamo sui nostri sogni e concediamoci il tempo di realizzarli allontanando il momento in cui le lancette del tempo si fermeranno. Lavoriamoci, come cantava Bruce Springsteen, uno dei grandi concerti che, cara Sonia, dovevamo ancora vedere insieme. Quando ci andrò ballerò e canterò come se tu fossi accanto a me, con la tua birra in una mano e la sigaretta nell’altra.

 

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