Siamo tutti Antonio

di Stefano Pancari
Siamo tutti Antonio

Ci sono morti che fanno più clamore di altre, anche se ad ogni sorriso all’uscita di casa dovrebbe corrispondere un altrettanto sorriso quando ritorniamo a casa, con in mezzo il lavoro.

Spazio da parte dei media equivale all’inevitabile tsunami di commenti e commentucoli di un’orda opinionista sempre più cinica e intrisa di odio. Questo ormai è il circo dell’informazione signori, ancora pochi giorni e ci sarà una nuova notizia bomba che catalizzerà l’attenzione, i like, le vendite e la tragedia di Brandizzo scivolerà di pagina in pagine per essere dimenticata, ma non da tutti.

Non verrà certo dimenticata dai familiari, dalle persone care, dai genitori, dagli amici e nemmeno da Antonio Massa. Le indagini sono in corso, ma qualcosa appare già chiaro. Una procedura non rispettata, un via libera mai arrivato, o forse una comunicazione mal interpretata e soprattutto il forte desiderio di tornare a casa il prima possibile. Facile parlarne a chi è smartworker e alle 17 è a sudare in palestra mentre manda i propri aforismi di mondo del lavoro ideale su Linkedin. Quando lavori la notte ti fumano perché sei stanco e come tutti vorresti essere a dormire a casa tua.

Adesso la moltitudine è con i chiodi in mano pronta a crocifiggere Antonio Massa, perché questa è la sicurezza sul lavoro: cercare l’assassino e metterlo alla gogna in pubblica piazza. Ho letto in un gruppo di feticisti del comma e dell’interpello i commenti a quel che reputo un bellissimo articolo di Giusi Fasano sul Corriere della Sera.

Un articolo che parte dell’umanità degli attori coinvolti in questa vicenda, compreso Antonio. Antonio così come tanti altri preposti, dirigenti, datori di lavoro vive un incubo perché nessuna di queste persone ha voluto preterintenzionalmente danneggiare nessuno. Non sono lupi famelici a caccia del prossimo agnello, sono forse persone ignare, superficiali relativamente all’importanza della sicurezza o semplicemente sono persone come noi.

Sì, noi fenomeni da tastiera, divini moralizzatori, detentori della giustezza e della saggezza. A noi, come i sopra citati disgraziati, capitano le stesse cose. Capita di distrarci in macchina, di omettere quel qualcosa che sia una procedura o qualcosa di non scritto, ma che ci garantisce la nostra sicurezza e quella degli altri.

Noi obesi incuranti dei trigliceridi che potrebbero un giorno fermare il cuore, noi fumatori che intasiamo le nostre arterie, noi che per il nostro sport preferito oseremmo di più, noi che omettiamo qualcosa come gli altri sul lavoro. Noi che quando fa tardi vogliamo tornare a casa, proprio come Antonio e i suoi ragazzi.

Prima di digrignare i denti e avventarci come iene sulla carogna, guardiamoci allo specchio e denudiamoci di teorici abiti che non sono i nostri. Antonio sta già vivendo il suo calvario, umano e vedremo la giustizia cosa accerterà.

Il rimorso è la peggiore delle pene, è peggio di una cella penitenziaria, è peggio di una sanzione, è peggio della gogna pubblica. È un morso che abbiamo dentro di noi e che tornerà, tornerà e di nuovo tornerà, fino alla fine dei nostri giorni come se fosse un girone del Purgatorio dantesco.

Noi nel frattempo troviamo la dignità di tacere.

 

 

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