Pop history #06 – Massive Attack

di Marco Chelo
Massive Attack

Inclusione e Unione.

Amo questi termini, rappresentano due pilastri fondamentali su cui si edifica una società anche in termini di cultura della sicurezza.

Perché la sicurezza e la salute sul lavoro è quanto di più inclusivo esistente, nella sua ricerca ostinata alla vita e al benessere attraverso l’unione di intenti.

La straordinarietà della musica risiede nel fatto che rappresenta in pieno questi valori.

I Massive Attack a mio modesto parere ne sono la miglior espressione sonora e non solo.

Il gruppo musicale di Bristol, nato dopo la metà degli anni ’80 da tre membri della comunità artistica The Wild Bunch: Robert “3D” Del Naja, Grant “Daddy G” Marshall e Andrew “Mushroom” Vowles.

Nel circuito underground ottengono subito un buon successo attraverso temi dominanti elettronici con atmosfere dure e cupe.

Agli inizi degli anni ’90 la band inizia a trasformarsi, diventando un vero e proprio collettivo musicale attraverso collaborazioni con voci femminili che si alternano come front woman del gruppo.

Sono Sinéad O’Connor, Horace Andy, Madonna, Burial, Shara Nelson, Elizabeth Fraser, Martina Topley-Bird, Ghostpoet, Neneh Cherry e Tracey Thorn degli Everything but the girl, che insieme al campionatore di Ninja e il “rapping cortese” di Tricky danno vita a un nuovo genere, il trip pop elettronico.

Il gruppo è cambiato spesso in questi 30 anni, a me piace ricordare due loro album (Blue Lines e Mezzanine) e due loro tracce (Unfinished Simpathy e Teardrop).

La prima cantata da Sara Nelson, la seconda da Elizabeth Fraser, entrambi capaci di regalarci brividi e ricordi indelebili ogni volta che vengono ascoltate.

La loro storia, la loro capacità di creare e fare musica mi permette di condividere con voi un modesto pensiero personale capace magari di generare spunti di riflessioni e confronto.

Negli ambienti di lavoro dove donne e uomini (in qualsiasi ruolo esso siano), lavorano come persone di una collettività esiste un ambiente sano.

Un’azienda oggi non può che essere sempre più attenta alla sicurezza, come valore culturale da cucire sulla pelle delle persone, da trasmettere e da mostrare orgogliosamente.

Inoltre è un dato di fatto quando si parla di prevenzione della salute, il fatto che le donne siano una spanna avanti rispetto agli uomini. Non ne conosco il motivo, forse una sensibilità maggiore in materia, sicuramente però è tangibile e respirabile.

Oggi molte donne si affacciano sempre più spesso alla materia, molte da anni sono grandi esperte nella medicina del lavoro, nella formazione oppure nella consulenza sia se arrivano da studi umanistici che tecnici, ma è innegabile che esista ancora un gap da colmare, nella rappresentanza lavorativa sulla sicurezza e da quanto spesso sento e/o leggo anche a livello remunerativo.

Eppure siamo concordi nel riconoscere la loro capacità professionale, io stesso su Linkedln seguo con molto interesse esperte e professioniste capaci di insegnarmi molto (non vorrei fare nomi solo perché non vorrei dimenticarne anche solo una).

Un altro aspetto importante è rappresentato dal fatto che una maggiore attenzione e sensibilità garantisce una maggior stabilità del personale, evitandone le “Grandi dimissioni”.

Se io sto bene in un determinato luogo di lavoro e trovo il giusto equilibrio con la mia vita privata, ma perché mai dovrei andarmene?

Non tutto ruota intorno al vile denaro (i capelli bianchi me lo hanno insegnato).

E poi è bello pensare che chiunque possa cambiare il mondo con la propria musica partendo dalla propria stanza come Ninja o ascoltando quelle voci femminili capaci di propagare la musica includendo le persone alla vita.

È dove esiste un retaggio culturale malato che la sicurezza è esclusiva ed esclude le persone, come ci viene raccontato e ricordato purtroppo quotidianamente.

 

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