Luci e ombre sul festival rock

di Stefano Pancari
Luci e ombre sul festival Rock

Questa settimana commento quello che pare sempre di più essere il festival rock di maggiore spessore in Italia, ovvero il Firenze Rocks. Lo farò secondo i registri di ROCK’N’SAFE, ovvero con un occhio attento agli aspetti di salute e sicurezza, dando un po’ di voti puramente soggettivi.

10 alla nostra salute mentale. Finalmente usciti alla luce dopo la forzatura nelle caverne buie e isolate della pandemia, siamo tornati ad assembrarci e a vivere la socialità in barba a Zoom e Teams. L’aggregazione è parte imprescindibile dell’essere umano e lo si è notato nel sorriso di chi incrociavi, un sorriso spontaneo dato dalla felicità di essere lì, un sorriso di genitori che hanno portato i loro figli, un sorriso di chi era con gli amici o di chi semplicemente era a godersi lo spettacolo.

Luci e ombre sul festival Rock

10 ai Metallica. La solo loro presenza sul palco fa subito capire perché dici metal e pensi a loro come i re incontrastati. 40 anni di carriera indelebili e un piglio sul palco che ci ha mandati in estasi. I Green Day hanno avuto dalla loro la gran voglia di Billie Joe Armostrong di interagire con il pubblico e Tré Cool in stato di grazia con la sua batteria. I Muse hanno avuto dalla loro la grande potenza della loro musica e la loro spettacolarità. Perdono qualche punto rispetto ai Metallica perché, con il loro ventennale repertorio, avrebbero potuto concedersi più dei 90 minuti con cui è durato il loro live. Non mi esprimo, invece, sui Red Hot Chili Peppers che non ho visto. I gruppi spalla sono sempre meno spalla in questo festival, dai Placebo, che niente hanno da invidiare agli altri, alla sempre più conferma dei Greta Van Fleet.

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10 ai genitori che hanno portato i loro figli, anche piccolissimi, per condividere con loro lo stile del rock, ma che sono stati ben accorti a fargli indossare le cuffie antirumore.

8 agli amici di Virgin Radio che si sono prodigati tra truck e palco per intrattenere le migliaia di persone con la loro simpatia e la loro musica.

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7 all’organizzazione della sicurezza. Non che sia successo niente di particolare da quel che ho visto e saputo, ma vedere le persone stese sui varchi di uscita da un lato faceva molto Woodstock, dall’altro avrebbe creato non pochi problemi in caso di emergenza.

5 alla comunicazione della sicurezza. Se in passato la Live Nation si è distinta con un video fatto benissimo con Simone Giacinti che, a modo suo, dava le raccomandazioni al popolo del rock, quest’anno si sono limitati al compitino con la planimetria e le raccomandazioni di base con una voce da stazione ferroviaria. Grandi cartelli per l’individuazione degli esodi, mentre i punti di pronto soccorso non li ho notati, non perché non ci siano stati ma perché non erano adeguatamente segnalati.

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4 al popolo che non balla. Non so se sono gli effetti dell’isolamento pandemico, ma ho visto tanti ascoltatori, tanti improvvisati influencer videomaker e poca mobilità. Il corpo che balla lasciandosi andare alla musica forse è qualcosa di vintage che dovremo riscoprire come con i nostri vinili.

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3 alla gestione dell’acqua proprio come il costo in euro di una bottiglia 50 cl. Il festival si è consumato in clima rovente che ci conferma che l’ambiente merita più di un’attenzione. In una situazione del genere l’acqua diventa un bene primario e non puoi farla pagare come oro. La questione dell’ingresso delle bottiglie senza tappo desta più di un sospetto di una presa di giro camuffata dalla scusa di una presunta sicurezza. Stessa cosa dicasi per le borracce sequestrate. Anche quest’anno il popolo del Firenze Rocks ha dimostrato di aver voglia di partecipare per “vivere” e non per mettere in scena una guerriglia.

1 alla vicenda dei token. Di anno in anno ritengo che sia una truffa legalizzata ai danni del consumatore. La stessa fila per acquistare i token la potresti fare per acquistare il bene che ti interessa, così come sembra una grande fregatura la possibilità unica di poter acquistare soltanto “pacchetti” di token. Guarda il listino e ti renderai conto che almeno un token, l’equivalente di un euro, ti sarebbe rimasto in tasca. Metti che di sessantamila persone, questa disavventura sia capitata alla metà delle persone, emerge che sono stati spesi 30000 euro senza scambio di merce, ma solo all’incasso dell’Organizzazione.

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1 al listino. Non solo l’acqua, ma l’acquisto di qualsiasi bene ha subito dei rincari al limite della decenza. Per me questo è in contrasto con quella che mi piace pensare sia una cultura rock. Detto che per gli organizzatori è business ed è giusto che sia così, speculare così sfacciatamente con un hamburger a dodici euro e una birra a otto euro è a mio avviso vergognoso.

Tra pro e contro è dunque passata questa chermesse che ci è mancata come l’acqua nel deserto. Potremo scrivere e leggere fiumi di parole, ma la dimostrazione è che il rock è vivo e vegeto e ancora può mostrare il suo dissenso contro le guerre, contro un certo tipo di politica, può mostrare l’amore per la vita e per ciò che davvero conta.

 

 

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