L’abilità di vendere valori

di Fernanda Fioroni
L'abilità di vendere valori

Venditore si nasce.
Con il tempo e per scelta bravi venditori si diventa.
Questo accade quando ognuno ha le sue buone ragioni per relazionarsi proattivamente con se stessi in primis e con gli altri, per poter attendere ad una soddisfazione comune sebbene con intenzioni diverse, infatti c’è colui che compera e colui che vende.

Il bravo venditore sa che il cliente non compera mai solo il prodotto, anzi compera essenzialmente i valori che egli incarna, che trasmette attraverso una relazione comunicativa empatica.
Il bravo venditore è consapevole della forza persuasiva della propria autenticità, che deve però necessariamente coincidere magistralmente con la mission dell’azienda.
Solo in presenza di questo stato armonico, in cui il tutto viene trasmesso all’esterno da una sola identità, iniziano e per lo più avvengono ciclicamente vendite soddisfacenti.
Il bravo venditore conferisce fiducia e sicurezza in quello che propone – e queste sensazioni le esprime all’interlocutore – in modo naturale – attraverso la sua capacità comunicativa, la sua intelligenza creativa ed emozionale, ma “conditio sine qua non” sono anche i sentimenti che nutre per la realtà aziendale in cui lavora.

In Origine – si narra – era il Verbo! In realtà in origine era la comunicazione non verbale, la prossemica e il tono di voce, e poi… infine l’utilizzo del significato delle parole.
E allora non basta solo descrivere questo o quel prodotto, bisogna saperlo raccontare, bisogna saperlo far vivere e rivivere nell’altro, trasmettendo l’anima del suo ideatore.
In virtù di questo il bravo venditore studia, e studia ancora, elabora e rielabora gestualità, postura, mimica, ecc…, le parole che intende utilizzare per comunicare con i propri interlocutori, interni ed esterni, consapevole del peso emozionale e persuasivo che tutto questo abbia in qualsiasi relazione che si voglia far durare nel tempo, perché ci si tiene.

Saper comunicare all’interno di una comunità fa da volano per l’ottimizzazione del tempo – Kronos – che si ha a disposizione per eseguire nella sua interezza un qualsiasi progetto di lavoro.
Oggi però ci scontriamo anche con le nuove aspettative di feedback dei nostri interlocutori, a qualsiasi livello, perché i nostri bias cognitivi sono stati lentamente modificati, soprattutto dai meccanismi dei flussi digitali, che scandiscono il nostro quotidiano, inteso come Keiros.
I nostri schemi mentali, subendo forti interferenze da parte del digitale, influenzano la nostra percezione del tempo e della realtà, ma anche la natura dell’atto comunicativo interno ed esterno; la profondità dell’atto comunicativo si perde nella nuova “pretesa” di ricevere o fornire informazioni (non più comunicazioni strutturate e comprovanti) il prima possibile, subito!

Strutturata e trascinata dal ritmo dei meccanismi digitali, la nostra mente inconsciamente si aspetta solo un ritorno d’informazione ad una domanda. L’informazione in sé è una sequenza di parole e concetti che non esprimono l’essenza del significato dell’argomento che si sta trattando; la comunicazione proattiva invece è tale se condivide efficacemente valore, etica ed emozione determinando, così relazioni in sicurezza.
La sicurezza che quanto affermato ha delle basi concrete ed esperienziali o documentate a supporto del concetto stesso.

Non si vive, non si agisce, non si interagisce, e non si lavora in sicurezza con la fretta dettata da pretese, ansie e irragionevolezza egoistica.

Recita il proverbio <<“presto” e “bene” non vanno d’accordo>> e favoriscono la genesi di impasse comunicative e progettuali. Per arginare il dilagare sovrastante di questa nuova forma mentis, che chiede per lo più celerità, è necessario rieducarci. Come? Solo dopo aver preso coscienza di chi ci domina e, con il nostro comportamento, educare gli altri.

Scegliere le parole giuste per parlare con sé stessi è il punto di partenza, sempre, esattamente come non fare agli altri quello che non vorresti venisse fatto a te.

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