50 anni di insegnamenti mancati da the dark side of the moon

di Stefano Pancari
50 anni di insegnamenti mancati da the dark side of the moon

C’è la musica e poi ci sono i Pink Floyd, coloro che più di ogni altro hanno reso il rock e l’elettronica una opera d’arte senza tempo. Domani correrà il cinquantesimo anniversario dalla pubblicazione del loro masterpiece per eccellenza, The dark side of the moon. Un album che per le sue sonorità, i suoi concetti così alti e ricerca musicale fluttua nel tempo restando oggi attualissimo.

Non a caso con le sue 50 milioni di copie vendute è uno degli album più venduti della storia. Raramente mi avvicino a parlare del quartetto inglese e delle loro gesta artistiche perché tanta è la venerazione nei loro confronti che mi sembra di non saperne mai abbastanza per parlarne.

The Dark side of the moon è da un lato il punto di arrivo di un viaggio iniziato a fine degli anni ’60 per merito dell’amico perduto Syd Barrett, ma anche il punto di svolta di un trittico degli anni ’70 da museo con i successivi Wish you were here e Animals.

Il lato oscuro della luna è una metafora che uso molto frequentemente per indicare quel lato inspiegabile del lato umano che contraddice la sua stessa umanità. La luna, così protagonista con il suo volto di cipria (figuriamoci a pochi anni dallo sbarco dell’uomo sulla sua superficie), nasconde anch’essa il lato oscuro, un po’ come lo facciamo tutti noi.

Tutto ciò che noi rileviamo come non conformità nasce dal the dark side of the moon: un macchinario non manutentato è la conseguenza di una scelta di qualcuno che ha voluto risparmiare o non fermare la produzione, la persona al pronto soccorso è la conseguenza del suo inutilizzo di un DPI per far veloce e, ancora, le relazioni tossiche sono l’effetto di un approccio con noi stessi e gli altri troppe volte approssimativo e superficiale.

Dovremmo tornare nel qui ed ora, respirare come ci invitano a fare in Breathe così come ascoltare il battito del nostro cuore come in Speak to me, soverchiato dal suono dei registratori di cassa che poi diventerà predominante in Money. Soldi. La corsa a quell’oro, che sia uno stipendio o un ROI, che migliorerebbe la nostra vita, ma che come una coda di scorpione si rigira su sé stessa per ucciderla.

Gli anni di Time corrono veloci e ti ritrovi un giorno che ne sono passati già dieci e, magari, poco hai fatto per migliorarti e migliorare il mondo che ti circonda. Cosa hai fatto in tutto questo tempo? Può essere che per la corsa verso il sole sia già tardi perché quel sole sta già tramontando. Il tempo può finire e magari lo comprenderai quando ti verranno i brividi ascoltando The great gig in the sky che, grazie allo zampino di Alan Parson e nonostante il disappunto di Richard Wright, ci regala la voce da sirena di Clare Torry. Ma ormai la tua scia è indelebile e quel che avrai fatto lascerà il suo segno su chissà quante vite.

Impariamo ad avere un atteggiamento critico contro ogni violenza, come le parole di Roger Waters in Us and them contro la guerra, sulle armonie di Richard Wright scartate dalla colonna sonora del film Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni. Sei il generale che guarda le linee di conquista muoversi sulla mappa o la prima linea che muore per questo macabro gioco?

Scegliamo uno dei colori come meglio ci piace, magari tra quelli con cui il prisma Pink Floyd separa il fascio di luce della vita nelle sue tante sfaccettature e suonati in Any colour you like. Diversamente ci troveremo come folli nel lato oscuro della luna di Brain Damage, consapevoli che nella nostra testa c’è qualcuno che non siamo noi. È in quel momento che il buio ci avvolgerà come nell’eclisse di Eclypse.

Mentre cerchiamo risposte in ciò che è fuori dovremmo, e i Pink Floyd ce lo hanno suggerito 50 anni fa, fare un viaggio dentro noi stessi non trascurando le nostre zone d’ombra.

‘There is no dark side of the moon really, as a matter of fact it’s all dark’

 

 

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