Meglio una buona birra che una tempesta: gli insegnamenti della sicurezza in navigazione

di Davide Chiarantini
navigazione

Ho cominciato a veleggiare a diciotto anni e da allora la passione per la vela, per il mare, per il vento e il navigare verso isole e porti è diventato uno stile di vita, anzi direi soprattutto un’attitudine mentale. Un velista, anzi un marinaio, non scende mai dalla barca. Può farlo fisicamente magari ma il cuore e i pensieri rimangono a bordo e così tutti i suoi quotidiani atteggiamenti. Si può notare da come fa un nodo, da come pianifica un viaggio o progetta qualcosa. Soprattutto da come porta i capelli spettinati, anzi, pettinati dal vento e la barba incolta, come se avesse appena doppiato Capo Horn, mentre magari ha solo fatto un giretto di un’ora davanti al porto… Se è marinaio serio, ogni suo agire si poggia sulle esperienze acquisite e consolidate navigando, in particolare per la sua attenzione alla sicurezza. Non sempre il mare dà una seconda opportunità e questo duro insegnamento porta a una grande cautela in tutto. Beh, non per tutti i marinai, a essere sinceri: qualcuno è completamente “suonato” per il troppo salmastro nei neuroni e per aver pensato che sfidare il mare è da gran fighi…

Navigare per anni porta alla consapevolezza del dovuto rispetto verso il mare, ponendo al centro di ogni navigazione la sicurezza per l’equipaggio e per la stessa barca. Questa necessaria attenzione si basa sulla conoscenza dei fenomeni meteo, sia in termini di corretta interpretazione delle previsioni a breve e medio termine, sia in cosa consistono certi fenomeni (es. groppi e trombe d’aria). Si basa poi sulla conoscenza dei limiti dell’imbarcazione e dell’equipaggio, sapendo ad esempio che una barca piccola è in serio pericolo se si dovesse trovare tra onde di tre metri di altezza e che la barca va costantemente controllata affinché tutto sia a posto, o che un equipaggio di neofiti che comincia a stare male a causa del mare agitato è molto complesso da gestire. Aggiungo poi che lo studio preventivo e la conoscenza del contesto in cui si sta navigando è vitale in termini di sicurezza, basti immaginare che nel caso di navigazione in presenza di ostacoli appena sommersi, come rocce o relitti, possono nascondersi gravissimi pericoli, che quindi bisogna conoscere prima di affrontare una navigazione.

Inutile e dannoso forzare il veleggiare in condizioni pericolose o inadatte al tipo di barca e al tipo di equipaggio, anche perché la vera missione di ogni navigatore è tornare in sicurezza in un porto, sia per farsi una meritata birra, ma soprattutto per ripartire il giorno dopo verso altre isole! Chi non lo fa si ritrova poi, se riesce a salvare la pellaccia, come uno di quelli di cui si diceva all’inizio, un po’ suonati.

Quando si parte per qualsiasi obiettivo, la promessa da mantenere verso sé stessi e gli altri è di fare tutto nel giusto modo, senza rischiare, anche per il piacere di poter proseguire nelle proprie passioni in successive occasioni. La stessa attenzione deve esserci, ampliando la riflessione, in qualsiasi gesto si compia, anche nella quotidianità: dall’attraversare un incrocio, allo stile di guida, al compiere un lavoro domestico, a praticare uno sport con le dovute protezioni, cose che vanno sempre fatte con tutte le cautele, come fossimo il più in gamba dei navigatori. Non farlo è da marinai d’acqua dolce!

Queste cautele sono sufficienti a evitare guai che possano mettere a repentaglio la nostra incolumità o quella di chi ci è accanto in quel momento? Sono certamente fondamentali ma possono non essere sufficienti a evitare imprevisti a volte più grandi di noi.

Da circa quindici anni navighiamo, la mia compagna e io, su un piccolo cabinato di soli 6 metri, soprattutto per le isole del Tirreno, Corsica occidentale inclusa. Ovviamente la cautela nel controllare costantemente e in anticipo i bollettini meteo è vitale per evitare condizioni pericolose, magari per l’arrivo di una forte perturbazione in grado di scatenare forti venti e quindi agitare il mare. Per questo diciamo che il nostro equipaggio è composto da tre elementi, la Prodiera (che è anche la mia paziente compagna), lo Skipper o Comandante (il sottoscritto, ma in realtà chi comanda davvero è la Prodiera…) e il tempo. Intendo sia il tempo gestito per anticipare le perturbazioni e andarsi a ridossare in una rada protetta o in un porto prima che sia troppo tardi, sia il tempo inteso come tempo meteorologico. Conoscerlo in anticipo lo fa diventare un alleato come se fosse parte dell’equipaggio, perché si ha la consapevolezza di quando è possibile navigare in sicurezza, in funzione dei propri limiti complessivi (barca, equipaggio, capacità di conduzione). Un altro spicchio importante di tempo deve essere dedicato regolarmente a controllare le condizioni delle componenti della barca. Il resto del tempo è dedicato alle tipiche discussioni di coppia su dove si deve andare, dove si deve ormeggiare, cosa si deve cucinare e tipicamente alla fine vince la Prodiera, a parte il sempre certo accordo sulla birra da scolare in navigazione e sul rock sparato a palla tra le onde.

Delle volte però accade comunque l’imprevisto: un guasto serio a bordo, una secca non segnalata, un oggetto galleggiante o il variare inaspettato delle condizioni meteo.

I bollettini meteo non sempre sono precisi e il riscaldamento globale provoca sempre più frequentemente fenomeni violenti e inattesi, in grado di mettere in difficoltà chi naviga, come quella volta che fummo sorpresi da un groppo improvviso, il cui fronte instabile non era stato previsto per cui ci trovammo al centro di una tromba d’aria in mare aperto. Bisogna essere in grado di gestire le emergenze e farlo in modo lucido anche se ovviamente la tensione e la paura possono far perdere la necessaria calma. In quel caso, dopo la classica riflessione “ma chi cazzo ce lo ha fatto fare a stare qui!”, ammainammo tutte le vele, perché in un attimo arrivarono raffiche di oltre 30 nodi di vento, il mare cominciò a gonfiarsi quando pochi minuti prima era piatto, con onde frangenti che erano davvero minacciose. Indossammo i giubbotti autogonfiabili e ci legammo all’interno del pozzetto della barca, per evitare di essere sbalzati fuori dalla stessa. Mettemmo i maglioni termici e le cerate stagne, per non rischiare di andare in ipotermia per l’improvviso calo della temperatura e per la pioggia fredda. Chiudemmo tutti i boccaporti, governando la barca con la spinta del motore per fare in modo che il nostro piccolo veliero non offrisse mai il fianco all’onda, per evitare che, intraversandosi, si potesse coricare pericolosamente su un lato, riempendosi d’acqua e mettendoci a rischio nel cadere fuori bordo. La pioggia cadeva forte e quasi in orizzontale per la forza del vento, ma la barca tenne bene e, dopo i primi momenti di panico, in fondo anche noi fummo all’altezza, anche se la tensione si tagliava a fette e i tentativi di fare battute per tranquillizzare la Prodiera erano patetici, come quando chiese “Ma se cadiamo in acqua?” e io risposi “beh, se non ci mangiano gli squali ce la dovremmo fare a nuoto…”. Tralascio la risposta ricevuta…

Cosa ha funzionato, in un frangente così delicato? Il sapere cosa andava fatto e avere sempre le giuste cose a portata di mano. Quando il vento rinforza, le vele vanno ridotte il prima possibile se non addirittura, come in questo caso, ammainate del tutto. I giubbotti devono essere a portata di mano e così le cinture di sicurezza che permettono al navigatore di assicurarsi alla barca. La conduzione deve essere cauta e attenta, esclusivamente alla ricerca del minor rischio possibile, in attesa che la situazione migliori. “Every breath you take” cantata a squarciagola aiutò a non pensare troppo, imponendo di respirare invece di trattenere il fiato per la tensione. Così facendo, al passare della tempesta, dopo ore di pioggia e vento, arrivammo in porto, stanchi, zuppi e ricoperti di sale ma convinti di aver superato qualcosa di veramente impegnativo. Era ormai notte fonda, accolti con sorpresa dagli ormeggiatori, che ci fecero i complimenti per aver saputo navigare in quelle condizioni con una barca così piccola, meglio di altre barche più grandi che in quel frangente chiesero soccorso. Aver superato quella situazione dà fiducia ma soprattutto consolida la cautela nel cercare di evitarne altre analoghe.

Andare per mare insegna quindi che non bisogna mai esporsi a rischi inutili né in navigazione né in qualsiasi attività e che è bene essere comunque sempre pronti ad un eventuale ’imprevisto, sia in termini di competenze sia tenendo pronti dispositivi utili a gestire una eventuale urgenza. Perché se un marinaio è bravo nel saper uscire da una tempesta, il vero marinaio la tempesta la guarda da lontano, magari seduto nel bar del porto, ascoltando il giusto rock e a gustarsi un’ottima birra: è lui che è veramente in gamba!

Buon vento!

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