Comunicazione tossica

di Piero Vigutto

Soldato, temo di avere brutte notizie per te… beh, non esiste un modo facile per dirlo, perciò… lo dico e basta”. Ho scomodato una frase del capitano Miller1 perché potrebbe essere questo quello che ha pensato i dirigenti di GKN e di altre aziende che hanno lasciato a casa il personale con un sms o una mail. Occorre però sottolineare che: non è la seconda guerra mondiale, non è lo sbarco in Normandia, non è neppure un ambiente militare dove la comunicazione unidirezionale termina sempre con un signorsì e pazienza se quello che ti ho detto non ti piace. Qui si parla di persone che hanno ricevuto una comunicazione molto più fredda e asettica di quella che usava la dottoressa Keener in un altro noto film2. Ecco, in questo caso possiamo fare un paragone con quello che accadeva quando la dottoressa licenziava on line i lavoratori delle aziende da cui aveva ricevuto l’incarico e il collega, interpretato dal favoloso George Clooney e che portava con sé un’esperienza di svariati anni, le rammentava che, in ogni caso, con le persone bisogna ingenerare un rapporto empatico e di comunicazione, in qualunque situazione, specialmente quando gli devi dire qualcosa di brutto.

Ci ho pensato spesso a quelle persone che sentono vibrare il telefono, accedono al sistema di messaggeria e leggono “Saluti e grazie, da lunedì stai pure a casa” (semicit.). Non credo che sia cattiveria, credo che manchi proprio l’intenzione o la capacità di imbastire e creare una comunicazione efficace con l’altra persona, perché per parlare chiaro ci vuole la volontà di farlo ma soprattutto è faticoso. Sinceramente non ho mai compreso il motivo per cui le persone stentano a dialogare con gli altri, eppure basta poco. È provato che il confronto sincero, diretto, fatto di chiarezza e tanto, tantissimo feedback porta ad una relazione costruttiva e rispettosa dell’altro a cui, nel modo opportuno, puoi dire qualunque cosa.

“Abitudine tra noi è una cosa da evitare” dicono i Subsonica “Vedo solo sbarre, vedo una prigione umida, vedo poca verità. Come fare a dirtelo che non ci sei più dentro agli occhi miei, che siamo solamente incomprensione e lacrime?” un testo che sembra calzare alla perfezione con quanto accaduto ultimamente nelle aziende che hanno lasciato a casa le loro persone con un sms. Grande, grandissimo errore quello di non avere alcuno scambio con le proprie persone. In un mondo sempre più liquido va da sé che il valore aggiunto di un’impresa sono le persone che, in primis, vanno selezionate nella maniera più opportuna3 e poi vanno trattenute non con i soldi, quelli li hanno (quasi) tutti, ma con il dialogo. Un capitale, quello umano, difficilmente sostituibile. Non avere alcun tipo di rapporto, una comunicazione assente o, peggio, una comunicazione tossica porta sicuramente le persone a sviluppare un sentimento contrario a quello dell’engagement4, per non parlare di altre forme di reazione che vanno ad impattare sulla sfera emotiva e quindi sul vissuto personale dei dipendenti e collaboratori. È il caso dello straining, ancora poco conosciuto in Italia ma che già si è fatto notare nelle aule di tribunale.

Se però da un lato fanno notizia le aziende che comunicano in maniera brutale, meno note sono quelle imprese che riescono invece ad imbastire un rapporto umano con i propri collaboratori ai quali si possono poi dare anche pessime notizie senza finire sulle prime pagine dei giornali o scatenare la reazione del sindacato, oltre a creare profondo disagio alle persone. Mi piace infatti pensare che non sempre una fine sia la fine ma, come diceva Battisti “Che non si muore per amore è una gran bella verità, perciò, dolcissimo mio amore, ecco quello che da domani mi accadrà: io vivrò senza te, anche se ancora non so come”. Un distacco che, come tutti i distacchi, deve essere gestito bene.

Ma cosa significa gestire bene il distacco?

Per capire come risolvere questa criticità e senza la pretesa di indicare soluzioni universali, userò lo stesso sistema che mi insegnò la mia maestra delle elementari: partiamo dal problema e andiamo a ritroso.

Situazione: ci sono delle problematiche in azienda che mi costringeranno a prendere delle decisioni per nulla piacevoli ma necessarie a portare avanti la mia impresa.

Obiettivo: voglio comunicare alle persone che lavorano con me che ci sarà una ristrutturazione aziendale e per alcuni di loro si potrebbe prospettare la perdita del posto di lavoro.

Soluzione A: mando un bel sms o un’email e li lascio a casa. Risultato: articoli sui giornali, immagine aziendale compromessa, employer branding che è andato a farsi friggere, anche in caso di ripresa sarà difficile trovare persone che si fidano di me (basta infatti un giro su Google News per trovare qualunque informazione sull’azienda che mi ha proposto l’assunzione e fare due conti). La soluzione è quanto di più autolesionistico ci possa essere.

Soluzione B: parlo chiaramente alle persone e spiego loro in maniera trasparente situazione e piano di ristrutturazione. Dico loro che alcuni perderanno il lavoro ma che lo sapranno per tempo e, magari, avranno una lettera di raccomandazione da parte dell’azienda per rispetto verso la loro professionalità e gli anni che hanno dedicato alla mia impresa. Risultato: la chiarezza porta a comprensione, la comprensione all’accoglienza.

Facile, vero? Purtroppo non lo è, perché per applicare la soluzione B devo inevitabilmente aver già creato in passato un substrato di fiducia. E come faccio a creare un clima di fiducia? Parlo da sempre chiaramente con tutti. Ecco che riemerge la chiarezza espositiva, la relazione trasparente che non si crea dall’oggi al domani ma fin da subito e poi si mantiene nel tempo.

La fiducia non va solo creata ma va anche mantenuta.

“Ti dico quello che faccio e faccio quello che dico” lo ripeto spessissimo ai corsi di comunicazione manageriale ed è per me un mantra assoluto. Se poi non puoi mantenere la promessa spiega per quale motivo, mostra i dati, giustifica la tua scelta in maniera incontrovertibile. Ricordo un consiglio di amministrazione in cui emerse la problematica “i miei dipendenti pensano che con gli utili mi compri auto e barca e invece li investo nell’azienda” mi disse un imprenditore. Un caso che poteva mettere a repentaglio il buon clima interno con ripercussioni estremamente negative sui sistemi di attraction e retention dei talenti, sistemi su cui punta ogni azienda con un minimo di lungimiranza. La risposta stava nell’affermazione “pensano” ovvero suppongono e le persone suppongono perché non hanno informazioni e allora “diamo loro queste informazioni” suggerii “organizziamo una riunione e lei spiega a tutti le voci di bilancio e dove finiscono i soldi”. Andò bene, la riunione ebbe successo, i malpensanti si ravvidero e il clima migliorò ulteriormente.

Per i lettori scettici due indicazioni: il bilancio è pubblico quindi non vengono rilevate informazioni confidenziali; il bilancio spiegato anche ai meno avvezzi alla materia porta a generare fiducia, perché in questo modo si genera una comunicazione chiara. Per chi ancora pensa che sia stato azzardato e rischioso faccio notare che eseguimmo questa operazione nel 2017 in una società del nord-est di quaranta dipendenti, nel settembre del 2020 uscì “L’unica regola è che non ci sono regole: Netflix e la cultura della reinvenzione” che lessi nel 2021 e in cui trovai la stessa operazione, ovviamente fatta più in grande e in una società quotata in borsa. Se non credete a me leggete il libro e fate due conti sul livello di engagement, miglioramento della performance e clima che c’è in quella società.

Riassumendo, per creare un gruppo in cui la comunicazione è strumento di coinvolgimento dobbiamo:

  • partire dalla sincerità, sempre

  • fornire tutte le informazioni a tutti

  • vanno coinvolti gli amplificatori interni, quelli che oggi vengono chiamati ambassador

  • la comunicazione va coltivata quotidianamente

  • la fiducia va meritata con le azioni

In questo modo stimoleremo l’engagement ed avremo da parte dei collaboratori la stessa reazione (de)cantata da Jason Mraz e Colbie Caillat nella loro Lucky “I’m lucky I’m in love with my best friend”.

1 Salvate il soldato Ryan di Steven Spielberg, (1998).

2 Tra le nuvole di Jason Reitman, (2009).

3 Vigutto P., Organizzare la selezione nelle PMI: Indicazioni e strumenti per valutare i candidati, comporre le esigenze e governare il processo, Franco Angeli Editore, (2018).

4 Vigutto P., La giusta leva: Sviluppare l’engagement partendo dalle persone, Self Publishing, (2020).

 

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