Siamo liberi?

di Stefano Pancari

Libertà ha la sua etimologia in essere libero. Libero, nella sue varie declinazioni linguistiche, ha lo stesso radicale libere, ovvero far piacere, aggradare e libens, ovvero volenteroso.

Ne deriva che solo chi è libero fa ciò che gli piace.

Questo è in estrema sintesi quanto ho trovato sull’etimologia della parola libertà e la conclusione non mi soddisfa per niente. Ritengo che la mia libertà finisca dove comincia la libertà delle altre persone e, pertanto, il mio stato libero trova autostrade da solcare fino a quanto non pesterà i piedi a qualcun altro. In quel caso inevitabilmente dovremo trovare compromessi in nome del rispetto reciproco.

Questo pensiero fa scopa con il fatto che, si dica quel che si dica, il nostro libero arbitrio così libero non è. Siamo legati con corde e catene alla nostra educazione, al giudizio degli altri, ai nostri bias cognitivi, alle nostre credenze.

Una delle massime espressioni di libertà può essere, per me lo è, Christopher McCandless che sceglie di mollare il suo stato di ragazzo benestante per sfuggire al mondo consumista e vivere con le sue sole forze in mezzo alla natura (leggi Nelle terre estreme di Jon Krakauer oppure l’immenso Into the wild di Sean Penn con colonna sonora in mano ad Eddie Vedder). Una visione poetica e ammirevole della vita, ma che potrebbe essere incatenata alla stessa convinzione che il mondo così com’è non sia accettabile.

L’arte e la musica ci danno una mano a farci un’idea propria di libertà e di quanto siamo effettivamente liberi. D’altronde Vasco Rossi diede avvio a fine degli anni ’90 con un album in cui si domanda se liberi siamo noi però liberi da che cosa, chissà cos’è. Il suo confronto è con noi stessi che in gioventù era tutta un’altra cosa e forse perché eravamo stupidi o forse chissà perché. Però adesso siamo cosa? L’esperienza, la saggezza e il punto di vista diverso sul mondo ci rende più liberi o la troppa razionalità ci inaridisce?

Non lo so, per questo mi rivolgo ad un quasi decennio dopo, quando i Subsonica con Daniele Silvestri hanno suonato Liberi tutti e la loro voglia di evadere come Steve Mc Queen o come il grande Clint in fuga da Alcatraz. Ci invitano a squagliarcela dai virus della mediocrità, dai dogmi e dalle televisioni, dalle bugie, dai debiti, da gerarchie, dagli obblighi e dai pulpiti.

Liberiamoci da ciò che ci uccide e tutto ciò che abbiamo intorno, dall’uomo che non è padrone del suo giorno, da tutti quelli che inquinano il nostro campo. Bello, anzi bellissimo se non fosse utopistico.

Potremmo rivolgerci a Jovanotti e alla sua visione new age con Viva la libertà che vuole la libertà per sé stesso e per noi, anche per chi non la vuole, e dobbiamo crederci anche in tempi difficili e a volte tragici, dobbiamo crederci e non arrenderci.

Volando liberi sopra le Alpi potremmo sentire come la pensano i titani inglesi dei Pink Floyd in A great Day for Freedom che parlano del giorno della libertà dopo che il muro è caduto giù, quando con i calici alzati abbiamo sollevato anche un pianto. La libertà come scelta e cambiamento che, anche se con qualche rimpianto, non può essere evitato. Chissà quanto all’ex Roger Waters saranno fischiate le orecchie.

Restando in Inghilterra potremmo ascoltare George Michael che sulla libertà ci ha pensato, prima con i Wham e la loro Freedom e poi da solista con Freedom! ‘90. Ascoltarlo fa riflettere, visto che di libertà ne ha sofferto a suon di pregiudizi, scandali e manette. Dobbiamo dare quel che prendiamo. Tutto quel che dobbiamo fare è prendere quelle bugie e farle diventare in qualche modo verità. Tutto quello che dobbiamo vedere è che io non appartengo a te e te non appartieni a me. Libertà.

Non potrei far finta che i Queen abbiano detto la loro sulla libertà con I want break free. Di nuovo torna il pensiero per cui liberarsi dà un senso di appagamento, ma anche di rottura con qualcosa che ci tratteneva e non sempre è semplice.

In questo breve viaggio prendiamo il fantasma del Titanic che stavolta schiverà la morte e ci porterà dritti nel Paese a stelle strisce e imbatterci in Aretha Franklin e la sua Think! La regina ci canta che il rispetto è alla base di tutto anche qui e non solo in Respect. Ci invita a pensare a ciò che facciamo alle persone, lasciare che la mente vada ed essere liberi. Think about it!

Per concludere, saltando non so quante tappe, non ci rimane che citare l’epica Rockin’ in the free world di Neil Young, interpretata in varie cover tra cui la tipica chiusura di concerto dei Pearl Jam. Una preghiera rock di posare gli occhi sul mondo e sulle ingiustizie che lo segnano, dai senzatetto alle differenze sociali, dallo strazio di una madre che abbandona un neonato al consumismo. Ci invita a ribellarci e a continuare a fare rock in un mondo libero.

In questo viaggio non so bene se ci siamo schiariti le idee sul significato che ha per noi la libertà, ma una certezza ce l’abbiamo: la musica ha a cuore la libertà e ha il potere di liberare i nostri pensieri.

Il mio pensiero va a tutte le persone che in Ucraina non sono liberi.

 

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