Under pressure

di Marco Colombo
under pressure

Dire e non dire, un po’ come vedo/non vedo. Intravedo, quindi immagino. Percepisco, quindi ricostruisco. Vedo frammenti, ricompongo. Un po’ come da ragazzini, quando scartare il nuovo CD era la più grande emozione del sabato pomeriggio – annusare le pagine del booklet, sfogliare i testi, comprenderne neanche la metà… e interpretare il resto. La magia era racchiusa anche e soprattutto in questo, così come lo è tuttora. Scoprire il testo di un brano, cercare di capirlo, scavare nel processo alchemico che ha trasportato un pensiero da una mente umana fino all’incisione nel policarbonato. Infine, cercare di interpretare lo stato d’animo dell’autore, il messaggio racchiuso nelle lyrics, scoprire l’obiettivo dietro a quelle parole, pretendere di riuscire a darne la contestualizzazione nel momento e nel periodo storico.

Dire e non dire, per lasciare la possibilità d’interpretazione, in modo che ognuno degli ascoltatori possa fare proprio il pezzo e viverne il contenuto come meglio crede. A volte, il processo creativo porta a questo – o meglio, questo è quello che ci dicono… Sta a noi interpretare, ovviamente.

‘Cause love’s such an old fashioned word
And love dares you to care for
The people on the edge of the night
And love (people on streets) dares you to change our way of
Caring about ourselves
This is our last dance
This is our last dance
This is ourselves under pressure
Under pressure
Pressure

Nel bel mezzo di una notte di mezza estate del 1981, Montreux diede i natali ad uno dei più famosi singoli degli ultimi cinquant’anni, grazie ad una jam session che Dave Richards architettò un po’ per opportunità, un po’ per intuizione, ricostruendo cosa sarebbe potuto accadere se avesse telefonato al suo assistito, David Bowie, per proporgli una serata in compagnia dei Queen. Il risultato è Under Pressure, così come riportato in oggetto (ehm, deformazione professionale). Nel testo sopracitato, è possibile per caso scorgere qualche assonanza? Qualche richiamo? Qualcosa che rimanda ad altro? Beh, credo che chi mastica sicurezza potrebbe tranquillamente sostituirla a quel love nella prima frase: una old fashioned word, ormai in disuso. Ma il cui significato non è certo passato di moda, così come l’amore di certo non è passato di moda, essendo parte di noi. E allora, alla grave constatazione conclusiva di Bowie, artista dal sapore più decadente e malinconico, diamo contrasto con quanto cantato dall’istrionico e parzialmente buonista Mercury, proprio nella strofa precedente:

Can’t we give ourselves one more chance?
Why can’t we give love that one more chance?

Nel percorso logico della canzone, perché mettere la speranza prima della delusione? Ognuno interpreti a proprio modo. Cogliamo però l’occasione per ribaltare la situazione, per rivedere le nostre posizioni, per dare il giusto peso all’amore per noi stessi (caring about ourselves: qui c’è poco da interpretare) e per il mondo che ci circonda (people on streets), sempre più sotto pressione e bisognoso di attenzioni, rispetto, fiducia, e buoni propositi che si tramutino in fatti concreti.

E ci sarebbe ancora molto da scrivere di questa canzone e dei grandi artisti che l’hanno composta, ma, per una volta, non facciamoci prendere dalla musicofilia, …e investiamo le nostre energie per reinterpretare un modo di vivere che sappia dare più certezze, più tutele…  e magari anche un po’ di amore. This is our last dance.

Why can’t we give love, give love, give love, give love
Give love, give love, give love, give love, give love?

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