PIT AREA’S VOICES #03 – Rita Stagnoli, Head of HSE Gruppo Lenet

di Rock'n'safe
Rita Stagnoli

Sciogliamo subito il ghiaccio, come ti chiami e quale ruolo ricopri in azienda?

Mi chiamo Rita Stagnoli e sono Head of HSE per il Gruppo Lenet, di cui fa parte l’azienda Thun.

 

Come ti sei avvicinato/a a questo lavoro e cosa ti ha fatto capire che questo è il lavoro giusto per te?

Mi sono avvicinata a questo lavoro per caso, diciamo più che altro che è questo lavoro che si è avvicinato a me. Ho iniziato nel reparto HR di un’azienda tedesca che stava mettendo le proprie basi in Italia e che si confrontava quindi con la normativa italiana, in tema di sicurezza abbastanza diversa da quella teutonica. Ho cominciato quindi organizzando corsi di formazione in collaborazione con l’RSPP aziendale, e piano piano approfondendo quei contenuti.

Ho capito da lì che c’era molto di più dietro gli adempimenti normativi e il rispetto delle leggi, e che quelle stesse leggi erano state fatte con uno scopo più alto che non tutti riuscivano a comprendere. Ho capito che poteva esserci un altro modo per trasmettere gli stessi contenuti, e che si poteva fare di più e meglio. Cruciale è stato l’incontro con professionisti che mi hanno trasmesso questi concetti e la loro passione.

 

Nel corso della tua carriera qual è stato l’episodio che ricordi con più piacere e quale con meno?

Non ho in mente un singolo episodio, ma diversi episodi in cui si ripetono le stesse dinamiche.

Partiamo dal peggio: ciò che ricordo con meno piacere, nella mia carriera, sono le ore spese a cercare di trasmettere concetti che per me sono la cosa più importante e avere, come risultato, che i miei interlocutori si ricordassero solamente una breve frase, tra l’altro decontestualizzata e spesso strumentalizzata per ottenere altri scopi. Il fallimento della comunicazione, l’avere dato per scontato che le persone di fronte a me avessero la mia stessa percezione e il mio stesso punto di vista, quando avevano in mente tutt’altro e io non sono riuscita a spostare il focus.

Quello che ricordo con più piacere, invece, sono le volte in cui questo focus sono riuscita a spostarlo, ovvero quando sono riuscita ad andare oltre la risposta “sì, lo so che è importante, hai ragione” e a generare cambiamenti, grandi e piccoli.

 

Hai mai dovuto affrontare un grave infortunio di un collega? Se sì raccontaci la tua personale esperienza

Uno dei primi e più gravi infortuni che ho dovuto affrontare ha visto come vittima una collega, impegnata in un’attività di commissionamento all’interno di un magazzino logistico mentre utilizzava un mezzo di movimentazione merci con conduzione su pedana. La collega utilizzava il mezzo impropriamente, stando a terra invece che sulla pedana apposita e guidando il mezzo da un lato. Alla fine, ciò che è intuibile successe, e la collega si procurò una frattura alla caviglia investendosi un piede con il mezzo, con conseguenze purtroppo permanenti.

Ciò che mi ha colpito di questa esperienza è che continuavo a pensare che la collega solo un secondo prima camminava normalmente, avrebbe potuto praticare qualsiasi sport, affrontare qualsiasi esperienza di viaggio, camminata, pellegrinaggio e, solo un maledetto secondo dopo, la sua vita era cambiata inesorabilmente, avrebbe dovuto subire operazioni dolorose e non avrebbe mai più camminato come prima. Un terribile e maledetto secondo. Tutta la documentazione di valutazione, i materiali dei corsi, le procedure, hanno assunto immediatamente un altro aspetto. Sarei voluta solamente tornare indietro nel tempo e avvertirla, essere più incisiva, più convincente, dirle che non rispettare le procedure e le misure di sicurezza avrebbe portato a conseguenze terribili per lei.

Da allora non ho più smesso.

 

Quali sono le soft skills che un/una professionista del mondo della salute e sicurezza sul lavoro deve assolutamente avere?

Tra tutte direi empatia e perseveranza.

L’empatia è necessaria per capire quali sono le leve per arrivare al cuore e alla pancia dei propri interlocutori, per far loro capire cosa è veramente importante. Non tutte le persone, infatti, reagiscono allo stesso modo agli stessi stimoli: ci sono persone che, se spaventate, si chiudono a riccio nelle proprie convinzioni, altre che hanno bisogno di un’emozione forte, anche che generi un po’ di paura, per uscire da quelle stesse convinzioni. Entrare in empatia con le persone permette di capire quali stili comunicativi, esempi, attività possono generare una reazione che porti ad azioni e a comportamenti positivi.

La perseveranza è fondamentale perché chi decide di intraprendere questa carriera deve necessariamente affrontare quotidiane difficoltà, come il paradosso di fornire vitali informazioni che vengono spesso percepite come noiose o inutili o dover gestire una normativa che sembra a volte voler solo complicare, invece di risolvere. Perseverare nonostante le apparenti difficoltà, continuare a studiare e cercare nuove soluzioni permette di raggiungere obiettivi che sarebbero potuti sembrare irraggiungibili, e questo diventa poi incentivo a continuare per alzare sempre più il livello.

 

Cosa ti aspetti nel futuro della salute e sicurezza sul lavoro? Pensi che le nuove generazioni siano più attente a queste tematiche?

Sì, credo che le nuove generazioni siano decisamente più attente alle tematiche di sicurezza, e meno disposte a rischiare la propria salute e incolumità. Però credo anche che, come le vecchie generazioni, i più giovani siano influenzabili e che la loro percezione del rischio dipenda da cosa vedono ogni giorno intorno a sé e a cosa sono abituati. Se un giovane che entra nel mondo del lavoro è circondato da persone che non utilizzano protezioni, sarà scoraggiato ad utilizzarle e penserà che sono inutili. Trovo molto positivo che si parli sempre di più di sicurezza (anche se ritengo che ci sia ancora da lavorare sul come se ne parli) e credo che questa comunicazione abbia fatto in modo che le nuove generazioni siano più sensibili. Voglio sottolineare che se non si affianca alla comunicazione il giusto esempio, il vero cambiamento impiegherà molto più tempo ad arrivare.

 

Per concludere, quale consiglio daresti a un giovane che si avvicina a questa professione?

Consiglierei di cercare di circondarsi di persone professionali e che abbiano passione, tramite canali di contatto professionali, partecipando a webinar e corsi e parlando con colleghi e non, mettendosi con umiltà nella posizione di chi deve sempre imparare. Come dicevo, questa professione ha purtroppo delle difficoltà intrinseche che rendono la competenza non sempre sufficiente. Nonostante ci sia una normativa a supporto, questa da sola non basta ad ottenere concreti risultati. Non sempre è chiaro cosa sia obbligatorio e cosa sia vietato e, quando è chiaro, non è sufficiente dirlo affinché le persone si comportino di conseguenza. Sono necessarie quindi passione ed esperienza. Circondarsi di un network di persone professionali e appassionate permette da un lato di assorbire le esperienze di altri per gestire nuove situazioni, dall’altro di alimentare e mantenere viva la propria passione anche di fronte alle difficoltà.

 

 

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