In concerto

di Vito Schiavone

Tragica prima settimana di novembre per il mondo dello spettacolo: prima la notizia della morte del celebre attore Sean Connery (90 anni), poi quella del Maestro Gigi Proietti (80 anni) ed infine l’improvvisa scomparsa di Stefano D’Orazio, storico batterista dei Pooh.

Quest’ultima mi coglie dolorosamente alla sprovvista come un dardo dietro la schiena: forse per l’età, Stefano D’Orazio aveva appena 72 anni, e sicuramente per il non essere (come è normale che sia) a conoscenza del suo precario stato di salute.

La notizia mi addolora ancor di più nel momento in cui apprendo che le sue condizioni sono improvvisamente peggiorate, come scivolando su di un piano inclinato, a seguito dell’avvenuto contagio da COVID-19.

È un destino davvero tragicamente beffardo per un artista che proprio nella scorsa primavera aveva scritto, in compagnia di un altro componente dei Pooh, Roby Facchinetti, la canzone “Rinascerò, rinascerai”, un brano di amore e speranza dedicato alle vittime da COVID-19 di quella Bergamo che lo aveva accolto per tantissimi anni, i cui proventi sono stati devoluti al locale ospedale Papa Giovanni XXIII.

Come mi accade spesso in queste situazioni, vengo assalito da tanti e tanti ricordi che mi legano all’evento che mi travolge emotivamente: sono stato subito circondato da quelle canzoni dei Pooh che in gioventù ho amato ascoltare, ed una di queste si è letteralmente aggrappata alla mia anima, accarezzandola e accompagnandola fedele per giorni.

La canzone è “In concerto”: è la storia, autobiografica evidentemente, di una band durante un tour musicale.

La mente vola lontano verso quei tour che noi fan sogniamo, agogniamo, attendiamo con tanta passione sino a esplodere di gioia e adrenalina quando finalmente possiamo vedere i nostri beniamini salire sul palco.

Con gli occhi ci nutriamo della loro arte, della loro energia sino a volerci immedesimare in pieno nei personaggi durante la loro performance, invidiando loro una vita che permette di salire su di un palco diverso ogni sera, davanti ad un nuovo pubblico, in una nuova città.

Eppure nessuno pensa che tutto ciò porta spesso gli artisti a non sentirsi mai a casa, a pensare che

non conosci nessuno/ti salutano in tanti

ed alla fine di ogni concerto

non rimane mai niente/tante mani e nessuna

non rimane mai niente/solo prendere e andare

È questo il punto che più scuote la mia coscienza, il fatto che una star si possa sentire sola in mezzo ad una moltitudine di fan che lo acclamano, ad un pubblico folto e magari adorante che ne insegue lo sguardo e le movenze, senza però mai cercare l’anima dell’individuo, lasciandogli nel cuore quel senso di abbandono che si materializza sulle ultime note della canzone con questa frase

Ma se tu sai guardare più in là/dove noi torniamo noi/una storia vedrai, quella vera che non sai

Le parole pesano come macigni e questa richiesta che chiude la canzone mi fa riflettere, più in generale, sull’egoismo che caratterizza molti dei nostri rapporti, sulla loro superficialità, su quella spesso vana ricerca di contatti con altre persone che ha come unico scopo un nostro appagamento, senza voler preludere ad alcuno scambio emotivo.

La stessa tecnologia che quotidianamente usiamo ci permette di amplificare paradossalmente questo tipo di comportamento, consentendoci di comunicare – solo in superficie – con gli altri per mezzo di messaggi (scritti o vocali), senza che magari esista alcuna voglia di fare una conversazione a viva voce, perché ciò implicherebbe un maggior coinvolgimento emotivo, di energia e tempo che non siamo disposti ad accettare.

Quante volte parliamo ad una persona senza dare ascolto a quel che dice, senza neanche guardarla negli occhi? Quante volte, anche sul lavoro, non andiamo al di là delle apparenze, dei ruoli con i nostri colleghi, senza provare e capire il perché di taluni comportamenti che talvolta possono essere causa di infortuni più o meno gravi? Quanto questo egoismo influisce in una cattiva comunicazione e di conseguenza in una mancata percezione di un imminente rischio per la salute e sicurezza? Quando è stata l’ultima volta che abbiamo chiesto ad un collega <<come stai?>> non come una vuota formula consuetudinaria, ma per saperlo davvero?

Ho sempre pensato che un gruppo musicale come i Pooh (secondo per longevità forse solo ai Rolling Stones) potesse essere eterno, immortale e immutabile nei solchi di un vecchio LP.

Ma al di là dell’opera artistica c’è l’uomo, con i suoi sentimenti e le sue debolezze: la strana e potente sofferenza che ho provato nell’apprendere dell’improvvisa scomparsa di Stefano D’Orazio lo ha reso effettivamente vivo ed umano ai miei sensi, mi ha fatto capire in un attimo quanto poco mi sia soffermato “a guardare più in là” in questi anni in cui ho amato la sua musica e le sue parole senza mai vedere l’uomo che si celava dietro la maschera dell’artista.

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4 commenti

Andrea 14 Novembre 2020 - 22:50

Grazie Vito!
È proprio vero, difficile trovare momenti per “guardare più in là”… dovremmo imparare a farlo un po’ più spesso!

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vito schiavone 17 Novembre 2020 - 11:15

Proprio così, Andrea, è proprio così!

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Cinzia Percoco 17 Novembre 2020 - 18:01

Assolutamente vero!
Quanto egoismo, quanta superficialità nei nostri rapporti
Non c’è mai tempo, o forse non vogliamo trovarlo il tempo per entrare in empatia con il nostro vicino, collega, amico o parente
Scambio emotivo si… sostegno morale, conforto o anche semplice condivisione di un’esperienza
E così siamo sempre più soli!

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vito schiavone 19 Novembre 2020 - 15:13

Esattamente, Cinzia! Il fatto che oggi ne stiamo parlando vuol dire che cominciamo ad averne consapevolezza e da questa al cambiamento il passo è breve: buon viaggio!

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