A prova di imbecille

di Giacomo Pastorelli
a prova di imbecille

Ho appena iniziato la mia nuova esperienza lavorativa in affiancamento all’RSPP di stabilimento.
Essendo il mio primo giorno faccio un giro dei vari reparti per prendere visione del ciclo produttivo.
Il giro prosegue fino a quando ad un certo punto rimango di stucco, probabilmente se mi fossi trovato in un cartone animato mi sarei stropicciato gli occhi per capire se era tutto vero.

La parte di macchina che costituisce il cuore della produzione è totalmente esente da protezioni fisse o carter mobili, nessun micro, soltanto organi che si muovo con movimenti repentini e ripetuti.

Rimango incredulo, però la verità è quella, e la verità è che quella macchina specifica è prodotta così da ciascun costruttore, marcata CE e distribuita in tutto il mondo da ormai un secolo.

Beh, allora di cosa mi dovrei preoccupare? Vuol dire che va bene.

Sì, tutto bene fino a quando alle ore 19 di quello stesso giorno, il mio primo giorno, un operatore, o meglio un preposto, agisce sulla macchina senza sezionare l’alimentazione e un movimento proprio di quella macchina che conosce ormai da una vita gli asporta l’ultima falange di un dito.

Ogni qualvolta si verifica un infortunio sul lavoro è come un giallo. C’è una vittima ed un assassino. La vittima ovviamente è sempre l’infortunato, ma l’assassino chi è? È “lui” che bisogna trovare. E come dicono Davide Scotti e Sabatino De Sanctis ne “Il libro che ti salva la vita”, quello che si cerca di fare spesso è affibbiare la colpa dell’omicidio all’infortunato. Sì, esatto, come se la vittima si fosse suicidata.

È triste, vero? Ma è la verità!

Nel mio caso la macchina era dotata di marcatura CE, la persona era formata e conosceva le istruzioni di sicurezza per lavorare alla macchina… C’era tutto! Soprattutto c’era un’ammissione di colpa da parte del lavoratore, quindi il caso era chiuso.

Un RLS nella mia precedente esperienza lavorativa un giorno mi disse: “La sicurezza deve essere a prova di imbecille”.
Inizialmente non sposai la sua filosofia, fin quando un giorno, sovrappensiero, con la testa alla mia ex, raggiunsi il mio ufficio attraversando tutto il reparto produzione senza aver indossato le scarpe antinfortunistiche.

Lì capii.

La sicurezza deve essere ad un livello tale che se anche ho la testa alla moglie, all’amante o a mio figlio io non devo farmi male. Perché gli infortuni accadono soprattutto per questo: per distrazione.

Tornando a noi, quindi, mi posi una domanda: “Il livello di sicurezza della macchina era tale che anche se l’operatore fosse stato distratto o di fretta, questo gli avrebbe comunque permesso di non farsi male?

NO, ASSOLUTAMENTE NO!

Quindi l’assassino probabilmente non era chi si voleva che fosse e ancora più probabilmente l’assassino era ancora in circolazione…

Oggi troppo spesso NON pensiamo che i lavoratori sono esseri umani. Pensiamo che se ti ho formato e fatto vedere una procedura di sicurezza, questo sia sufficiente per salvaguardarti. In fin dei conti se ti dico di non mettere una mano lì perché è pericoloso, cosa devo fare di più?

Se vogliamo fare un passo avanti non è così che si fa sicurezza.

I lavoratori hanno le loro vite, i loro pensieri, i loro problemi e purtroppo non possiamo pensare che se sono a lavoro non possono avere quel momento di defaillance dettato da mille variabili.

Dobbiamo agire su questo, garantire la sicurezza in quei “5 minuti dell’imbecille”, perché d’altronde la sicurezza deve essere a prova di imbecille.

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