Tra disastri, colpe e canzoni

di Francesco La Rosa
Tra disastri, colpe e canzoni

What have they done to the earth?

What have they done to our fair sister?

Ravaged and plundered

and ripped her and bit her

Stuck her with knives in the side of the dawn

And tied her with fences and dragged her down

 

Cosa hanno fatto alla terra?

Cosa hanno fatto alla nostra brava sorella?

L’hanno devastata e saccheggiata

E lacerata e fatta a pezzi

Dilaniata coi coltelli dal lato dell’alba

E legata con recinti e trascinata giù.

 

The Doors – The End

 

 

Che cos’è una disgrazia? Letteralmente, è il contrario di una grazia, cioè di un dono ricevuto, di un atto di benevolenza sceso su di noi. Così come il disastro è, letteralmente, una cattiva stella, un astro girato male, e una sciagura è il contrario di un augurio.

Sono tutte parole che sanno di trascendenza, o di religione, di volontà superiore, di fatalismo. Di rassegnazione, anche.

Certo, per quanto gravi, le disgrazie moderne sono ben poca cosa rispetto a quelle di un tempo. Carestie, epidemie, guerre uccidevano gli esseri umani a milioni, sterminavano percentuali significative della popolazione. La grande carestia agli inizi del Trecento uccise un quarto della popolazione europea, e fu seguita dopo un trentennio dalla Peste Nera che uccise non meno di un terzo della popolazione rimanente.

Le carestie e le epidemie erano considerate flagelli divini, castighi di Dio, manifestazioni di divinità irate. Richiedevano sacrifici, penitenze, processioni, purificazioni, riti espiatori, cose così. Placare la divinità. Le guerre no, quelle erano più propriamente umane, ma solo fino ad un certo punto. Del flagello divino mantenevano spesso il carattere di ineluttabile necessità. Cos’erano le invasioni barbariche se non la manifestazione della giusta ira degli dei pagani abbandonati e traditi? Ed Attila, poi, non era forse detto “Il flagello di Dio”?

E dunque guerre, fame, epidemie andavano accettate con rassegnazione, chinando la testa di fronte alla manifestazione di un volere superiore, di una volontà maturata “colà dove si puote ciò che si vuole, e più non dimandare”. Le parole sono sempre rivelatrici. Nel linguaggio legale anglosassone sopravvive tuttora l’espressione “Acts of God” per indicare eventi naturali fuori dal ragionevole controllo dei contraenti. Cause di forza maggiore, le chiamiamo più laicamente noi.

Oggi è diverso. Per le catastrofi che ancora ci affliggono oggi nessuno, fosse anche il più tradizionalista, avanzerebbe l’ipotesi della collera divina che, non molti secoli fa, sarebbe stata la spiegazione più naturale. Oggi ci viene spontaneo parlare piuttosto di “catastrofi naturali”. Dove la “natura”, beninteso, non è quel luogo incantato popolato di dei, ninfe, satiri e creature fantastiche che faceva da sfondo all’immaginario dei nostri antenati, proprio no. È la natura disincantata, indifferente a tal punto da non poterla neppure chiamare cattiva, è quella stessa Natura che così apostrofa il povero esploratore islandese in una della più famose Operette Morali di Leopardi:

“Immaginavi tu forse che il mondo fosse fatto per causa vostra? (…) Quando io vi offendo in qualunque modo e con qual si sia mezzo, io non me n’avveggo, se non rarissime volte: come, ordinariamente, se io vi diletto o vi benefico, io non lo so; e non ho fatto, come credete voi, quelle tali cose, o non fo quelle tali azioni, per dilettarvi o giovarvi. E finalmente, se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei”.

 

Il mondo disincantato non è stato creato per l’uomo, non è al suo servizio, benché l’uomo sia convinto del contrario: “riempite la terra e rendetevela soggetta, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sopra ogni animale che si muove sulla terra”. La Terra esiste da oltre 4 miliardi di anni, l’uomo solo da due milioni, l’homo sapiens sì e no da 200.000. Un battito di ciglia nella storia di un pianeta che è vissuto benissimo senza di noi per il 99,95% della sua storia…

L’idea della catastrofe naturale è in fondo anch’essa una forma di fatalismo, laico se vogliamo, ma pur sempre fatalismo. Atti della Natura al posto degli “Atti di Dio”, ma pur sempre di forze superiori si tratta. O no?

Da qualche tempo però abbiamo iniziato a sviluppare la consapevolezza che in qualche modo c’entriamo anche noi. Cambiamento climatico, riscaldamento, esaurimento delle risorse, saccheggio del territorio, cementificazione, corrosione, erosione, mancanza di prevenzione e di manutenzione, incuria. Cosa abbiamo fatto alla nostra cara sorella Terra? Dove andremo a finire di questo passo?

 

News had just come over

We had five years left to cry in.

News guy wept and told us

Earth was really dying

Cried so much his face was wet

Then I knew he was not lying.

(…)

La notizia era appena arrivata

Ci restavano cinque anni per piangere.

Il tizio del telegiornale piangeva e ci disse

Che la Terra stava davvero morendo

Pianse così tanto che il suo viso era tutto bagnato

E io capii che non stava mentendo

 

David Bowie – Five years

 

Stiamo davvero uccidendo la Terra? Stiamo calmi. Non siamo così potenti, la Terra sopravviverà, qualunque cosa facciamo. C’era prima di noi, ci sarà anche dopo. Non possiamo distruggerla, non ancora, però qualcosa possiamo fare: renderla inadatta alla vita umana, questo sì. Possiamo distruggere noi stessi. La natura andrà avanti, per altri miliardi di anni, indifferente, senza neppure un sospiro di sollievo. Ma noi non ci saremo, semplicemente, oppure ci staremo male, sempre peggio. Sono discorsi sempre sgraditi, spesso inascoltati, talvolta negati, respinti. Meglio far finta di niente.

 

There’s the progress we have found

a way to talk around the problem.

Building towered foresight

isn’t anything at all

 

Ecco il progresso che abbiamo trovato:

un modo per aggirare il problema.

Costruire turrite lungimiranze

non serve a niente.

 

R.E.M. – Fall on me

 

Eppure, cause naturali e cause umane appaiono sempre più intrecciate. Quanto dei cambiamenti climatici è conseguenza delle attività umane? Quanto incide l’anidride carbonica che scarichiamo nell’atmosfera? Quanta parte hanno il consumo di suolo e la cementificazione nell’ aggravare le inondazioni? Avremmo potuto evitare che accadesse? Avremmo potuto prevenire?

Responsabilità. Ecco la parola. Responsabilità.

 

Most people think

Great God will come from the sky

Take away everything

And make everybody feel high.

But if you know what life is worth

You would look for yours on earth.

 

La maggior parte della gente pensa

Che il gran Dio scenderà dal Cielo

Porterà via ogni cosa

E renderà tutti felici.

Ma se capiste quanto vale la vita

Badereste alla vostra su questa terra.

 

Bob Marley – Get Up, Stand Up

 

Orfani di divinità, ci troviamo sulle spalle il peso di ciò che accade. D’accordo, il terremoto è un evento naturale, ma avremmo potuto costruire meglio le abitazioni ed evitare che crollassero? Avremmo potuto costruire argini migliori contro le mareggiate e le inondazioni? Monitorare le condizioni idrogeologiche? Avremmo potuto prevenire o quanto meno accorgerci prima del virus? Chi se non noi avrebbe avuto i mezzi, potuto, dovuto fare qualcosa? Chi è responsabile? Di chi è la colpa?

Abbiamo poteri che ad un uomo dell’antichità apparirebbero divini, come quelli dei conquistadores spagnoli agli aztechi. Ma questi poteri sono un fardello pesante, se potevi fare e non hai fatto, la responsabilità è la faccia nascosta della libertà. E la responsabilità conduce alla cura. Ma attenzione: come nota il filosofo Umberto Curi, “(Il termine) latino cura ha un significato originario molto diverso rispetto all’identico termine italiano, perché in latino cura vuol dire sollecitudine, preoccupazione per qualcuno (…) una condizione soggettiva di sollecitudine e di preoccupazione”.

Quella cura che in inglese si renderebbe col termine “care” più che con “cure”. Quel prendersi cura che comincia con la prevenzione e comprende certo il curare, ma non è solo quello. Fare conto insomma che il comandamento della Bibbia sia piuttosto: “riempite la terra e prendetevene cura, preoccupatevi dei pesci del mare e degli uccelli del cielo e di ogni animale che si muove sulla terra”.

Trattate la terra come se fosse un giardino, insomma, quel giardino che l’antico indoeuropeo indicherebbe col termine “pairi-daêzãn”, e l’antico ebraico con “pardês”, sì, insomma, avete capito, trattare la Terra come se fosse un paradiso, un posto dove poter vivere senza preoccupazioni, “sine cura”, al sicuro.

 

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