L’attimo sfuggente

di Daniele Russo
L'attimo sfuggente

Spesso mi sono soffermato a pensare all’istante in cui avviene un incidente, a quella frazione di tempo, a quell’attimo che porta irrimediabilmente al verificarsi dell’evento che travolge in modo brusco e irreversibile la vita di una persona e mi sono chiesto quali siano gli elementi che portano al verificarsi di quella situazione particolare.

Gli elementi possono essere tanti, ma secondo me sono tutti riconducibili a due soli fattori: la mancanza di prevenzione e il comportamento non sicuro adottato dalle persone in quel frangente.

Qualcuno direbbe che esiste un terzo fattore: “la sfortuna”, volgarmente chiamata “sfiga”.

Chi non ha mai pensato che in taluni accadimenti questa non abbia avuto un ruolo cruciale? A volte, infatti, l’accadimento è talmente assurdo e imprevedibile che davvero ci sembra che questa si sia accanita contro taluni soggetti in modo mirato. Non a caso si dice che “la fortuna è cieca” mentre “la sfortuna ci vede benissimo!”

Pur avendo anche io a volte la percezione che la sfortuna esista veramente, resterò comunque sul piano puramente razionale distaccandomi dalla visione fatalista della vita ed evitando di entrare nel campo escatologico.

Se i fattori sono solo due, prevenzione e comportamento, non dovrebbe essere facile governarli?

Non mi soffermerò sui criteri e modalità di prevenzione dai rischi che si dovrebbero adottare nelle specifiche situazioni. Sono certo, infatti, che chiunque si occupi di sicurezza sia già ampiamente formato ed esperto in materia.

Si tratta di analizzare gli scenari presenti e quelli possibili, individuare i rischi nei diversi scenari e applicare con metodo e rigore quanto necessario per eliminarli, oppure ridurli al minimo qualora questo non fosse possibile, agendo su macchine, attrezzature, ambiente, metodi e persone.

Sul comportamento delle persone, invece, mi permetto di fare alcune considerazioni.

Il comportamento è un elemento che spesso viene tralasciato anche se in realtà ha un ruolo rilevante nell’accadimento di un infortunio.

Questo, infatti, può essere imprevedibile o non facilmente controllabile nonostante vengano definite regole da adottare, vengano erogati corsi di formazione e venga fornito addestramento specifico alle persone.

Non di rado quando chiediamo all’infortunato cosa sia accaduto o cosa non abbia funzionato ci sentiamo dire “mi sono distratto” oppure “sono stato uno sciocco” o “è colpa mia” o ancora “non pensavo/non ho pensato che…”.

La risposta “mi sono distratto” è certamente quella più frequente. Ma cosa vuol dire?

È una risposta ampia che può racchiudere molte e differenti cause sia interne che esterne, legate alla salute della persona, al suo stato emotivo e psicologico e/o all’ambiente esterno. Cause e fattori che hanno influenzato il comportamento della persona proprio in quell’attimo sfuggente! In sintesi si potrebbe anche tradurre come “avevo la testa altrove”.

La condizione ottimale di salute, l’essere riposati, il non sentirsi pressati o vessati, non avere pensieri negativi e/o preoccupazioni,  sono condizioni indispensabili per mantenere la concentrazione sul lavoro necessaria per evitare pericolose distrazioni.

Le risposte “sono stato uno sciocco” oppure “è colpa mia” rivelano che c’è stata una perdita momentanea di lucidità da parte del soggetto dovuta a diverse cause.

Ma possono voler dire anche “sapevo che… ma non l’ho fatto” perché ero in uno stato emotivo alterato oppure perché pensavo di poter fare a meno di… o ancora perché pensavo di poter fare in altro modo.

In Veneto si dice “L’è està un momento de mona!”.

Questa condizione mentale determina l’accadimento di molti infortuni.

La persona effettua azioni e/o applica comportamenti difformi da quanto previsto e/o in violazione di quanto prescritto pensando comunque di agire nell’interesse dell’azienda. Inventa soluzioni o trova il modo di risolvere i problemi riscontrati agendo in autonomia e di libera iniziativa senza pensare.

In presenza di condizioni impreviste o diverse dallo standard, il comportamento corretto da adottare è quello di fermarsi.

Bisogna applicare la metodologia STAR (STOP, THINK, ACT, REVIEW) consultando il proprio responsabile e/o i colleghi più esperti .

La risposta “non pensavo che o non ho pensato che…” evidenzia, invece, il fatto che la persona aveva sottovalutato il rischio perché non ne aveva conoscenza oppure non ne aveva percepito la gravità.

Questo accade se il processo di comunicazione non è stato efficace durante la formazione e/o l’addestramento della persona. Non sono state, infatti, comunicate o percepite da questa le conseguenze del non operare in maniera corretta.

Un esercizio che considero estremamente utile ed efficace, da praticare durante gli incontri formativi e di addestramento, per sviluppare nei discenti la consapevolezza dei rischi presenti è il “che cosa accade se?”. Consiste nel porre domande su quali sarebbero le possibili conseguenze del non applicare ciascuna delle prescrizioni previste a livello comportamentale, di metodo o procedurale e a livello di protezione collettiva e individuale.

È opportuno coinvolgere emotivamente e stimolare i discenti a fornire loro stessi le risposte alle domande “cosa accade se”. In questo modo i rischi individuati si fisseranno in modo permanente nei loro ricordi inducendoli ad adottare nelle specifiche situazioni, comportamenti sicuri e in maniera automatica.

Quali sono le conclusioni?

Quanto detto mette in luce come il comportamento della persona sia un fattore determinante nell’accadimento di un incidente.

Il comportamento che la persona adotta in quell’attimo determina lo scenario finale e può fare la differenza tra la vita e la morte.

Fare sicurezza vuol dire, quindi, agire sui comportamenti, fare in modo che le persone adottino comportamenti sicuri in ogni circostanza.

Le tecniche per agire su questi sono tante e si basano sul rinforzo dei comportamenti corretti e la correzione dei comportamenti errati.

Queste tecniche fanno riferimento alla psicologia comportamentale e si fondano su basi scientifiche descritte nella cosiddetta BBS: Behaviour Based Safety.

Se applicate in un ambiente dove “la sicurezza si respira”, ovvero dove l’attenzione verso questa si percepisce in ogni attività effettuata, in quanto parte della cultura aziendale e percepita come un valore per l’intera organizzazione, allora queste tecniche creeranno degli automatismi nelle persone nell’applicare i comportamenti corretti.

Applicare le tecniche della BBS non è facile e occorre essere guidati da consulenti esperti. Sono necessari conoscenza, metodo e richiede coinvolgimento, pazienza, perseveranza e un atteggiamento positivo di fiducia sulla loro efficacia.

Un punto di partenza può essere la preparazione di schede comportamentali per ciascuna delle attività svolte, la loro diffusione nell’organizzazione e l’introduzione di KPI (Key Performance Indicators) basati sulla misurazione dei comportamenti corretti rilevati.

Allora cominciamo!

Buon lavoro e BE SAFE.

 

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1 commento

Roberta 8 Marzo 2022 - 13:33

Buongiorno,
quali potrebbero essere dei KPI per la misurazione dei comportamenti?

Grazie mille
Roberta

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