Il re di Sparta

di Francesco La Rosa
Sparta

Come tutti i maschietti, sono cresciuto col mito di Sparta, assai prima che Leonida diventasse una specie di rockstar col fumetto, ed il film, “300”.

Sin dalle scuole medie si imparava che nell’antica Grecia c’erano due antagonisti, gli Ateniesi e gli Spartani, e che la loro contrapposizione era una contrapposizione fra modi alternativi ed inconciliabili di intendere il mondo e la vita. Era quello l’archetipo di tutte le dicotomie, su quel modello avremmo poi plasmato tutte le successive contrapposizioni, Cesare e Pompeo, il papato e l’impero, i cowboys e gli indiani, i Beatles e i Rolling Stones, Juve e Inter, e così via.

Ora, è chiaro che a ragion veduta si sarebbe dovuto dire Atene. Più alta la sua cultura, più ricca la sua arte, più variegata la sua storia, gli ateniesi sembravano avere tutte le briscole in mano o quasi.

Però.

Però un maschietto adolescente fatica a regolarsi secondo ragion veduta, fatica proprio.

Ascolta la passione, il cuore, la pelle. La pancia. Quando mai si è scelto col ragionamento per quale squadra tifare? Non per niente si chiama “squadra del cuore”. È per quello che una leadership della sicurezza deve emozionare, conquistare i cuori, prima di provare a cambiare le menti.

Gli Ateniesi stavano un filo antipatici, con quell’aria di superiorità che “sono bravo solo io” da saputelli secchioni. Certo, bravi erano bravi davvero, persino troppo, però mancava la comunicazione empatica, diremmo adesso. Nessuno ama veramente il primo della classe, e se lo si vede in difficoltà in un’interrogazione, in fondo in fondo un po’ si gode. Questo per dire che, un po’ segretamente all’inizio, poi sempre più apertamente a mano a mano che il consenso cresceva, noi ragazzini si teneva più per Sparta. Gli Spartani una sola cosa sapevano fare, ma la facevano proprio bene: picchiare. Il che per un ragazzino nell’età adolescenziale è più o meno il massimo della vita.

A quest’ unico scopo, com’è noto, gli Spartani dedicavano tutta la loro vita, i ragazzini venivano tolti alle famiglie e messi in “collegio” o qualcosa del genere, e giù marce forzate, palestra, notti al gelo e tante, tante botte. Scuola non molta, leggere, scrivere e poco di più, e questo non dico che per qualcuno fosse un ulteriore motivo per apprezzarli, ma insomma non guastava.

L’unica cosa che turbò l’idillio, quando fummo più grandicelli, fu scoprire che gli Spartani si chiamavano in realtà Lacedemoni.

Certo è che Sparta è un nome assai più bellicoso, già nel suono della parola stessa, c’è la “S” come il sibilo di una spada che fende l’aria, seguito da quel che sembra un colpo d’arma da fuoco, una “r” sonora come un rombo di tuono e chiusa da un colpo secco, di quelli che mettono fine ad un duello. “S-PAR-TA”. “S-PAR-TA”. Anche il suono delle parole è importante, per una comunicazione efficace. Lacedemone invece, diciamocelo pure, è il nome meno bellicoso che esista, tutto pacifiche labiali, pare evocare languidi baci e morbide carezze, piuttosto che duri scontri fra guerrieri. Un brutto colpo al prestigio. Però, siccome non era obbligatorio chiamarla così, Sparta era didatticamente accettato, l’inconveniente si presentava solo in occasione delle versioni, e per il resto si poteva tranquillamente fare finta di niente.

Diventato ancora un po’ più grande, un nuovo rovello cominciò a farsi sentire.

Prendete una mappa della Grecia, una mappa attuale intendo dire. Nessuna difficoltà ad individuare Atene, praticamente a colpo d’ occhio, se non altro perché il nome è scritto più grande di tutti gli altri. Con un po’ di applicazione vedremo anche Corinto, Micene, Argo, Tebe. E Sparta dov’è?

Sappiamo che dev’essere da qualche parte lì, in mezzo al Peloponneso, però il nome non compare da nessuna parte, né Sparta, né Lacedemone. Bisogna proprio andarla a cercare, ed una volta trovata (e scoperto che oggi si chiama Sparti!) la delusione è grande. Niente templi, niente teatri, niente monumenti. Zero al cubo. Sui teatri, va bene, si capisce, gli Spartani non erano certo tipi da agghindarsi nel dì di festa per andare a vedere una rappresentazione. Ma qualche tempio dovevano pur averlo costruito, no?

Si scopre allora che “Sparta” di per sé vuole dire “la sparpagliata”, “la dispersa”. Insomma, una vera e propria città non c’era, piuttosto un gruppo di villaggi tenuti insieme con la forza. La cosa aveva fatto una certa impressione persino su Tucidide che commenta: “raccogliendosi la città intorno ad un unico nucleo privo di templi e di costruzioni sontuose, con la sua caratteristica struttura fatta di villaggi sparsi, secondo l’antico costume greco, parrebbe una mediocre potenza…”. Oggi diremmo che la forza senza cultura può mettere paura, ma non coinvolge e non lascia il segno, come ogni Safety Leader sa, e come lo stesso, malinconico destino di Sparta conferma. Ci sono modi ben più efficaci per trasmettere energia che duri nel tempo.

La prima volta che si sente parlare di Sparta è nell’Iliade. Anzi, ad essere precisi possiamo dire che Sparta è all’origine stessa della guerra di Troia. È infatti re di Sparta Menelao, sposo della bellissima Elena, ed è lui ad ospitare il principe troiano Paride, il quale com’è noto non si comporta propriamente da gentiluomo e fugge con la moglie di lui, Elena appunto.

Ora, è chiaro che la cattiva azione è di Paride, su questo non si discute. Però Menelao non ci fa proprio una gran figura, mi pare. Non proprio autorevole, e non proprio da spartano, diciamo. Viene il dubbio che non sia un vero leader. Possibile?

Come che sia, lo sgarro è duplice, e cocente: da un lato le corna, dall’altro la violazione dell’ospitalità, ed è persino difficile stabilire quale sia l’offesa più grave. Urge vendetta, insomma, che come minimo richiede di radere al suolo la città del mascalzone. È per questo che si raduna la flotta, e si parte per la decennale contesa.

Ma, sorpresa sorpresa, a comandare la spedizione non è Menelao re di Sparta ferito nell’onore, ma il di lui fratello Agamennone, re di Micene e cognato di Elena, avendone sposato la sorella Clitennestra. Credo che chiunque abbia avuto a che fare con l’Iliade abbia notato questa anomalia: come mai non è l’offeso Menelao in prima persona a comandare l’esercito?

La spiegazione Omero non la dà, ma qua e là qualche indizio lo lascia cadere. Per esempio, nel II libro:

Agamennone (…) invitò i capi, i principi di tutti i Greci,

per primi Nestore e il re Idomeneo,

poi i due Aiaci e il figlio di Tideo,

per sesto Odisseo, pari a Zeus per saggezza”

non manca nessuno?

Ah, già:

Venne da sé Menelao, possente nel grido di guerra…”

Come sarebbe, venne da sé?

Come ricorda impietosamente Platone nel Simposio, “Menelao si presentò non invitato al festino, lui peggiore al banchetto di chi era migliore di lui”. Ah.

Nel libro XVII Apollo rimprovera Ettore:

Ettore, quale altro tra i Greci oramai avrà paura di te?

Ti sei ritirato davanti a Menelao, che in passato

Era un guerriero da poco…”

Ecco, diciamo che né gli dèi né gli altri principi troiani sembrano avere una grande opinione di Menelao. Non ho elementi per dire che i principi greci abbiano accettato di partecipare alla spedizione a condizione che non fosse Menelao a condurla, ma non lo posso nemmeno escludere e sinceramente qualche dubbio mi viene…

Sarà anche re, Menelao, avrà pure il “cappello per comandare”, direbbe Fossati, ma di leadership ne dimostra pochina. Ha l’autorità che viene dall’alto ma non l’autorevolezza, quella che viene dal basso, dal riconoscimento, e senza la quale non si guida la gente.

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2 commenti

Stefano Pancari 12 Dicembre 2020 - 09:16

Spero di poter far imparare la storia ed i valori alle mie figli attraverso le tue splendide storie

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Francesco La Rosa 12 Dicembre 2020 - 11:34

Come distruggere un mito millenario, in questo caso…
😀

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