La pena di morte

di Vincenzo Fuccillo

Ero poco più che ragazzino quando in tv apparve uno spot pubblicitario con un politico che diceva: “Cosa faresti a chi ha ucciso tuo figlio?” e dopo una breve pausa comunicativa rispondeva: “Noi lo sappiamo!”. All’epoca non avevo idea di cosa si provasse per un figlio ma la risposta a quella domanda a me sembrava semplice e forse lo è. I sopravvissuti hanno diritto di vedere puniti i colpevoli.

Poi, però, nel tempo mi sono chiesto: punire un colpevole serve anche a ridurre i reati stessi? Portare la pena fino all’estremo, imponendo la morte del colpevole, riduce il numero degli omicidi? Gli USA sono un grande campione statistico, omogeneo nella vita sociale ed eterogeneo nell’applicare la pena capitale e le loro statistiche affermano, ormai indiscusse, che “la minaccia di una pena ritenuta più severa, quale la pena capitale, non è influente per la prevenzione della criminalità omicida” (L. Giosis) che fa scopa con la storica “la certezza di un castigo, benché moderato, farà sempre una maggior impressione che non il timore di un altro più terribile, unito con la speranza dell’impunità” (C. Beccaria).

Eh sì… sono 4 secoli che si sono comprese certe regole del comportamento umano eppure… sembra che l’italica soluzione sia sempre la stessa… non c’è bisogno di inasprire le pene, c’è bisogno di applicare le pene che già abbiamo. Non c’è bisogno di cambiare le regole, c’è bisogno di applicare le regole che già abbiamo.

La maggior parte degli imprenditori neanche le conosce le regole e le sanzioni a cui va incontro, cambiarle non sortirà nessun effetto, come non ha sortito nessun effetto l’introduzione del reato di omicidio stradale: “Gli omicidi stradali non sono diminuiti perché nessuno di noi si mette alla guida guardando prima il codice penale” (B. Giordano).

Le parole chiave del successo sono: formazione, sensibilizzazione, certezza.

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