Io, Prometeo #02

di Francesco La Rosa
zeus

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C’era la guerra. Zeus pretendeva il trono, Crono non mollava, vecchi Titani contro nuovi dei, una guerra mondiale, anzi di più.

Fra una zuffa e l’altra la vita però continuava, ed un bel giorno a me sottoscritto Prometeo Titano venne in mente un’idea stravagante. Presi un po’ d’argilla, l’impastai, formai una piccola figura con due braccia e due gambe, ci soffiai sopra.

Sì, lo so, ve l’hanno raccontata in un altro modo, questa storia, ma io che ci posso fare? È la propaganda, l’ho già detto. Vi rivelo una cosa. Ancora nel secondo secolo dopo Cristo, ai tempi di Marco Aurelio, Pausania racconta che nei pressi di Panopeo, in Focide si potevano vedere carrettate di argilla dal caratteristico odore di pelle umana. Sta scritto, altro che chiacchere. Chiedete a quegli altri che fine ha fatto l’argilla di Adamo, e vediamo che cosa vi rispondono. Neanche un pezzettino. Lasciamo perdere.

E dunque sì, fui proprio io Prometeo a crearvi con le mie mani, per quanto la notizia possa turbare le vostre fragili menti. E non mi limitai a crearvi e basta, se è per quello. Perché la leadership è una cosa seria, deve far crescere, altro che schiacciare o ingoiare le competenze della squadra, e io questo lo sapevo bene, non ero certo Crono o Zeus, io, tanto per precisare. E proprio questo feci. Sì, lo so, la storia del fuoco ve la ricordate, almeno quella. Come se mi fossi limitato a portarvi il fuoco.

Vi ho creati che eravate nudi e fragili, rintanati nelle grotte, colonie di formiche sembravate. E nemmeno formiche sveglie, a dirla tutta. Cavernicoli, eravate. Vi ho insegnato tutto, a fare le case e lavorare il legno, a coltivare la terra e allevare gli animali. Vi ho insegnato l’alfabeto e la matematica, la medicina e l’arte della divinazione. Formazione e strumenti, è così che si fa. Volevo che liberaste le vostre energie, che sviluppaste il vostro talento, avevo una visione, io. Mi dovete tutto. Però, chissà perché, solo del fuoco vi ricordate.

Che poi quella è tutta una storia a parte.

Ve l’ho detto, siete nati in tempi di guerra, frugoletti miei. Una guerra tremenda che Zeus ed i suoi déi novellini non si sarebbero mai sognati di vincere se avessero combattuto lealmente. Ma pur di spuntarla, quel figlio di padre Crono non si fece scrupoli a scendere nel Tartaro e dare la libertà ad ogni sorta di avanzi di galera, Giganti, Ciclopi o Centìmani che fossero. Tutta gentaglia che lo zio Crono aveva spedito laggiù per validissimi motivi. Ve l’avevo detto, no, che fra Titani e Giganti c’è una bella differenza.

Ora, combattere lealmente è una cosa, il tuo avversario ti scaglia addosso un macigno e tu lo ricambi, ma se quello che ti viene incontro ha cento mani, allora le cose cambiano, no? Senza contare il supporto tecnologico dei Ciclopi. Chi credete che le abbia fabbricate le folgori di Zeus?

Insomma, fummo sconfitti, distrutti, sgominati. Sprofondati nel Tartaro, al centro della Terra, mio fratello Atlante esiliato alla fine del mondo a reggere il cielo sulle spalle. Game over. Ecco perché non vi ricordate più di noi, se non quando volete dare un po’ di colore a qualche film fantasy. Vi ricordate semmai di un’altra storia, quella degli angeli ribelli e caduti, e nemmeno vi rendete conto che è una cover fatta qualche millennio più tardi.

Ma nel frattempo, io qualche soddisfazione me l’ero presa, sapete. È per quello che il figlio di Crono ce l’aveva tanto con me, per tutte le volte che l’avevo fatto fesso. E la storia del fuoco fu solo la goccia che fece traboccare un vaso già colmo. E poi, nemmeno questa storia si racconta bene, gli uomini il fuoco già ce l’avevano, figuriamoci, Zeus glielo aveva tolto per pura gelosia nei miei confronti ed io di nascosto lo rubai e semplicemente glielo restituii. Vi pare una cosa poi così grave? Ma, chissà perché, lui s’era messo in testa che col dominio del fuoco gli uomini sarebbero diventati più potenti di lui. Un paranoico con troppo potere è proprio un grosso guaio, sapete? Lui s’era proprio fissato, con questa storia. Passi la medicina e l’edilizia, passi leggere scrivere e fare di conto, passi la pastorizia e l’agricoltura intensiva, ma il fuoco no. Si può essere più idioti di così?

E allora vendetta, tremenda vendetta. Lo sapete, no, quello che mi fece. Incatenato alla rupe per trentamila anni, con l’aquila che ogni giorno mi divorava il fegato, ed il fegato che ricresceva la notte per non lasciare mai a digiuno il passerotto. Ah, questo ve lo ricordate, chissà come mai. Le scene splatter, quelle non le dimenticate, vero?

Che razza di supplizio, poi. Una roba così fra noi immortali non si dovrebbe nemmeno concepire. Ci si combatte, certo, anche duramente, ma il rispetto non si dovrebbe mai perdere. Incatenato sulla pietra gelida, nudo come un verme, quell’osceno uccellaccio addosso, a frugarmi nelle budella. Una cosa così getta discredito su chi la inventa, lasciatemelo dire. Un sadico, e non aggiungo altro.

Ma io lo so perché l’ha fatto, io lo so da dove viene tanto smisurato astio nei miei confronti. Complesso di inferiorità, così si chiama. Puramente e semplicemente, io sono sempre stato un leader più intelligente e capace di lui, e lui se ne rendeva conto perfettamente. Uno come Zeus, una cosa così non poteva proprio tollerarla.

Figuratevi che per giustificare in qualche modo questa vera e propria persecuzione nei miei confronti, mise persino in giro la voce che io ero, addirittura, figlio illegittimo della sua consorte Era. Io, proprio io che l’avevo visto nascere. Lui, proprio lui che la povera Era la riempiva di corna a ogni respiro. Capite che personcina a modo, il grande Zeus?

E dunque stavo lì, inchiodato sul Caucaso, per secoli e millenni. E che cosa si proponeva di ottenere, quel galantuomo? Non ci arrivate? Sottomissione, questo voleva. Si aspettava che mi gettassi a tappetino davanti ai suoi piedi implorando clemenza. Voleva esibirmi come testimonial, un trofeo a coronare la sua gloria. Ma un Titano è fatto di un’altra pasta, amici miei.

Incatenato, lacerato, ma non spento. Dall’alto delle montagne del Caucaso tutti i giorni, per tutto il giorno lo insultavo, lo provocavo, lo schernivo. Poi superai me stesso. Visto che il mio nome vuol dire “colui che conosce prima”, perché non approfittarne? Mi inventai un complotto, un piano segreto. Cominciai a bofonchiare profezie oscure, lasciai intendere che Zeus era predestinato a fare la fine di Urano e di Crono, che uno dei suoi figli l’avrebbe spodestato, e io sapevo chi, quando e come. Ci fossero stati i Templari a quei tempi, li avrei tirati dentro. Vedo che mi capite, eh? Queste cose non passano mai di moda, lo so. Certo che vi ho fatto creduloni assai.

Zeus ci cascò in pieno, con tutti e due i piedi. Si terrorizzò, credetemi. Vedete cosa vuol dire avere la coscienza sporca? Tra l’altro lui in quel momento aveva perso la testa per Teti, e non sapeva più che fare. Dire a Zeus di non fare figli era come dire al mare di rimanere asciutto. L’autocontrollo non è mai stato il suo forte, diciamolo. E così, io ero dilaniato, ma Zeus dormiva preoccupato. Non dico che sghignazzavo, ma quasi. Ad un certo punto mi mandò persino Ermes, il suo traffichino preferito, il più viscido tirapiedi che si sia mai visto fra gli immortali. Ed io lo mandai a quel paese, insieme al suo padrone.

Insomma, supplizio a parte, mi sono preso delle belle soddisfazioni.

Ecco perché alla fine Zeus se la prese con voi, creaturine mie predilette. E che cosa vi fece, ve lo ricordate? Scommetto di no.

Fece Pandora, ecco cosa fece.

Ora, bisogna dire che io di donne non ne avevo create. Nemmeno una. Tante statuine d’argilla, avevo fatto, ma tutte uguali, col pistolino, e se proprio volevano, che trovassero il modo di divertirsi fra di loro. Io con la storia di Eva, almeno quella, non c’entro niente. Ammesso poi che ci faccia una gran figura, un Dio che deve correre ai ripari già subito dopo aver creato il primo uomo. E con una costola, poi. E che, non c’era più creta in tutto l’Eden? No, non è così che fa le cose un Titano.

Ma, senza donne, come facevano gli uomini a riprodursi? Semplice. Non si riproducevano. Ogni volta che cominciavano a scarseggiare, prendevo dell’altra argilla e ne modellavo degli altri. Un sistema a sicurezza intrinseca, possiamo dire. Perché io vi ho sempre voluto bene, creaturine mie, ma di voi non mi sono mai fidato troppo.

Poi arrivò lui, l’intelligentone, e fece la prima cosa che gli venne in mente, e dovete sapere che a Zeus la prima cosa che viene in mente è sempre la stessa.

E dunque fece fare questa donna bellissima, frutto di una vera e propria cooperativa. Efesto la plasmò con l’argilla, che lui non si sarebbe certamente sporcato le mani, Atena la vestì, Afrodite la rese esperta nelle sue arti, per usare un eufemismo, ed Ermes (e chi altri?) la dotò di una mente contorta, ambigua e menzognera.

A chi rifilò Zeus questa fregatura? E qui mi duole ammetterlo, ma sapete, in molte famiglie c’è un fratello un po’ tontolone, non è così? Bene, mio fratello si chiamava Epimeteo, “quello che ci arriva dopo”, e non dico altro. E pensare che lo avevo anche avvisato, prima di partire per il Caucaso, di non portarsi in casa regali di Zeus, per nessuna ragione.

Il resto lo sapete. Epimeteo e Pandora. Il vaso incautamente (incautamente?) aperto, dolori, pene e malattie che si diffondono tra i mortali. Sì, bravissimi, è proprio la storia che vi hanno raccontato col titolo “Cacciata dall’Eden”, starring Adamo ed Eva. Proprio quella.

Insomma, io vi ho fatto e voi manco vi ricordate di me, se non fosse per qualche film fantasy di tanto in tanto. Dovrei distruggervi tutti, ve lo meritereste.

Ma a me non importa poi tanto.

Vedete, dopo trentamila anni sopra una rupe, cosa volete che siano pochi insignificanti millenni di oblio? Il mio tempo tornerà, statene certi, così come ne sono certo io, io Prometeo, colui che vede le cose prima, il vostro dio.

Siete avvisati.

 

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