Solo cinque minuti

di Rita Stagnoli
solo cinque minuti

Tanto semplice quanto pericolosa: gli addetti ai lavori indovinano immediatamente dove una frase all’apparenza tanto innocente possa condurre.

Ce n’è di diverse varianti, come “solo un attimo”, “solo stavolta”, “no, ma non lo facciamo mai”, tutte originate dalle stesse associazioni mentali e tutte con gli stessi potenzialmente disastrosi risultati.

Generalmente sono associate al “non lo sapevo” o “non ci avevo pensato” (leggi l’articolo di Rita). Come è naturale d’altronde, perché solo non conoscendo o non avendo pensato alle conseguenze di certe azioni si può pensare di metterle in pratica, anche solo per cinque minuti.

Come addetti ai lavori, appunto, fingiamo per un momento di credere che quei cinque minuti siano solo cinque e quel “non lo facciamo mai” voglia dire davvero mai (spoiler: non ci crediamo). Se anche così fosse, se anche quei cinque minuti fossero solo cinque, sarebbero comunque più che sufficienti per innescare la reazione causa-conseguenza di un comportamento pericoloso.

Il mancato utilizzo della cintura di sicurezza su un carrello elevatore, così come in macchina, l’utilizzo di una scala non correttamente posizionata per fare in fretta, il sollevamento manuale di un peso per non andare a prendere l’attrezzatura. Ma anche un ostacolo davanti ad un’uscita di emergenza, o la rimozione di un dispositivo di sicurezza ad un macchinario.

Non occorre un grande sforzo di immaginazione per comprendere che bastano molto meno di 5 minuti perché queste situazioni possano portare a conseguenze molto serie. È quel dannato secondo, quello che ci fa capire che ormai è già troppo tardi, quello che potrebbe cambiare la nostra vita o quella delle persone intorno a noi per sempre. O peggio.

Accanto a quanto ci insegnano le neuroscienze su cosa porti la nostra mente a non comprendere il pericolo finché non accade o cosa ci porti a pensare di essere immortali per cinque minuti (su cui c’è moltissimo materiale da studiare e con cui informarsi), è importante creare cultura insistendo sulle conseguenze, oltre che sulle cause.

Nel momento in cui un comportamento pericoloso diventa un incidente, la sensazione immediata è quella di voler tornare indietro a quel secondo prima della catastrofe. Un secondo, e non 5 minuti. Si crea nella mente l’effetto sliding door, l’immaginazione di come sarebbe stata la nostra vita, o quella della persona di fronte a noi, se anche solo una cosa fosse stata diversa, se avesse avuto la cintura, se invece della scala avesse utilizzato un’attrezzatura più sicura, se il dispositivo di sicurezza di quel macchinario ci fosse stato. È in un secondo che tutta la vita può cambiare, in una volta.

Non abbiamo nessun bonus tempo né bonus occasioni, la vita non chiude un occhio solo perché erano cinque minuti. Per questo non lo facciamo neanche noi. Non chiedeteci di chiudere un occhio, di lasciare che i lavoratori lo facciano solo per stavolta, di non rallentare il lavoro. Se lo facciamo, potrebbe essere troppo tardi in un attimo da cui non si torna più indietro.

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