Effe: 36, Scrittore per diletto, Ex Operaio, Insegnante e creativo.
Ciao a tutti, sono Michele, l’apprendista intervistatore di Verona. Continua la nostra avventura nei luoghi di lavoro attraverso testimonianze dirette, Persone coraggiose che hanno deciso (in forma anonima) di raccontarmi la propria esperienza. Storie di vita lavorativa. Buona lettura.
Poesia
Come faccio a restare sano
sapendo
che non ho di che vivere
se non
un risicato sussidio di
disoccupazione
per pagare l’affitto
comprarmi da mangiare
l’università
i vizi?
L’intervista
Michele: Ciao Effe, mi racconti un po’ di Te?
Effe: Ciao Michele, mi chiamo Effe, ho 36 anni e sono di Verona. Ho un diploma Liceo e principalmente ho lavorato come operaio. L’anno scorso in piena pandemia, mi sono dimesso dopo 9 anni di vicissitudini, motivazione: ero allo stremo delle mie forze. Successivamente, ho lavorato in una scuola primaria come supplente, per circa un anno (lì ho conosciuto la mia attuale compagna). Attualmente sto studiando lettere e spero di chiudere presto la triennale, scrivo Poesie e Racconti per diletto.
Michele: Come mai hai iniziato a scrivere?
Effe: All’inizio un po’ per gioco, scrivevo storie di fantascienza e per scherzo coinvolgevo i miei compagni di classe, maturando invece ho continuato a scrivere per sfogarmi e far uscire i miei pensieri. Oggi ritengo sia l’unico modo, mio, per conoscere e scoprire il mondo.
Michele: Qual è il tuo rapporto con il Lavoro?
Effe: Non sono una persona troppo ambiziosa, per me non è prioritario fare carriera. Vorrei solo avere un lavoro che mi dia un certo grado di soddisfazione, tutto qua. Mi interessano più i rapporti umani con i colleghi e i clienti, mi piace essere di aiuto e collaborare, cercare di creare un buon ambiente. Credo fermamente nell’adagio: “si lavora per vivere, non si vive per lavorare”. Per me è fondamentale conciliare lavoro e tempo libero. Mi interessa di più cercare un luogo sereno dove lavorare, possibilmente creativo. Di sicuro non lavorare in fabbrica, dove tutto è molto ripetitivo.
Michele: E come mai hai trascorso quasi 10 anni in una fabbrica?
Effe: Diciamo che è stata una necessità, dopo il Liceo mi ero iscritto all’università di biologia e lavoravo per mantenermi gli studi, quindi, ho dovuto accettare quello che capitava, principalmente lavori in catena, esperienze poco sicure dove i lavori lasciavano a desiderare. Ti faccio un esempio: ricordo di una fabbrica dove si doveva maneggiare dei tubi pesanti a temperature molte alte. Il motto era: “bisogna produrre, produrre e ancora produrre” a discapito della sicurezza. Per non parlare dei macchinari che utilizzavamo, si rompevano a causa della mancata manutenzione e non venivano mai sistemati.
Michele: Hai avuto anche degli infortuni?
Effe: Certo! Un giorno mi sono infortunato mentre maneggiavo questi grossi tubi, facendo il gesto del salto con l’asta; al tempo ero ancora sotto agenzia interinale. Il peso dei tubi era fuori norma, secondo me e quella volta ho avuto uno strappo. Purtroppo, l’agenzia credeva alla versione dell’azienda e si erano tutti convinti che non avessi più voglia di lavorare. La realtà era diversa e alla fine del contratto mi hanno lasciato a casa.
Michele: Hai avuto anche episodi di Mobbing o simili?
Effe: Purtroppo si, ed è stato durante la mia esperienza più lunga, in un’azienda metalmeccanica. Ero stato assunto dall’agenzia per 6 mesi. Chiuso il primo periodo, dopo un anno, mi hanno richiamato e assunto direttamente. Ricordo un ambiente diverso, dove i colleghi erano simpatici, e in qualche modo te la facevi passare. Poi un giorno, il capo reparto mi ha fatto intendere che serviva un operaio nel reparto verniciatura, e io volevo cambiare mansione così ho accettato, anche se sapevo che si trattava di un lavoro più sporco, ma meno ripetitivo.
Michele: E poi cos’è successo?
Effe: Poi c’è stato il patatrac, ad un certo punto ho deciso di iscrivermi al sindacato, per una maggiore tutela ma anche per trasparenza informativa. L’azienda non accettava i sindacalizzati. Sai i datori di un tempo. Da quel momento il rapporto con i superiori è cambiato, mi facevano notare solo gli errori, mi dicevano: “come mai fai meno straordinari rispetto a prima?”.
Nel frattempo, sempre tramite il sindacato, mi sono informato sul mio inquadramento e sulla mansione. Dopo qualche ricerca il sindacalista mi ha avvisato che, in base all’anzianità, da contratto mi spettava lo scatto. Allora ho deciso di parlare con il capo reparto, ma non è successo nulla. Ho provato con l’ufficio personale ma mi hanno rimbalzato senza tante risposte. Io ero certo di svolgere mansioni superiori, spesso infatti dovevo coprire alcune fasce orarie del capo linea. Oltre a sollevare pesi importanti (in sicurezza), ma il tipo di movimento poi per agganciarli era poco naturale per schiena e spalle, il che rendeva il lavoro fisicamente logorante; ero infine a contatto con sostanze tossiche, come vernici e diluenti. In parole povere, tutto era cambiato in peggio.
Michele: E com’è finita?
Effe: Che dopo tre anni in verniciatura, e tanto lavoro per poche soddisfazioni, ho chiesto al mio capo reparto di tornare in catena, volevo deresponsabilizzarmi. Non aveva più senso farsi il mazzo senza un ritorno. Tutti si sono incazzati e hanno iniziato a spostarmi da una linea all’altra. Oltre a vari richiami e una lettera disciplinare. Un bel lunedì mi avvisano che in seduta stante dovevo cambiare reparto, così, senza preavviso. Il venerdì precedente ero stato poco bene e dovevo avvisare il mio capo per il permesso, questo però non è successo perché mi hanno trasferito e il nuovo capo era assente quel lunedì. Dopo circa un mese, senza un controllo preventivo, mi contestano l’assenza ingiustificata. Consegnata addirittura alla vecchia residenza e in ritardo. Mi sembrava tutto surreale.
Michele: Tutte queste azioni contro di te, come le chiameresti?
Effe: Allora non lo chiamerei mobbing vero e proprio, direi più “straining”. Ho cercato di informarmi a riguardo e quello che ho subito nel tempo assomiglia di più a questo termine che indica un sottoinsieme della macro. In pratica sono una serie di comportamenti messi in atto dallo “strainer” con lo scopo di isolare la persona, discriminarla.
Tratto da Wikilabour.it: lo straining è “una situazione di stress forzato sul posto di lavoro, in cui la vittima subisce almeno una azione che ha come conseguenza un effetto negativo nell’ambiente lavorativo, azione che oltre ad essere stressante, è caratterizzata anche da una durata costante. La vittima è in persistente inferiorità rispetto alla persona che attua lo straining (strainer). Lo straining viene attuato appositamente contro una o più persone, ma sempre in maniera discriminante”.
Alla fine, mi hanno spostato in un altro reparto, una situazione ancora peggiore. Ero fisso 8 ore al giorno in un metro quadrato. Il capo reparto aveva atteggiamenti intimidatori e spaventava la gente. Mi sono detto: “vivo da solo e ho un affitto da pagare”. Così ho stretto i denti cercando ancora una volta di dimostrare il mio valore. Anche questa volta nulla mi è stato riconosciuto, anzi. Sono arrivato a ricoprire anche il ruolo di jolly, ma ormai avevo i capi contro e non mi lasciavo più lavorare serenamente.
Michele: E quindi che hai fatto?
Effe: Ho dovuto agire per il mio bene. Ricordo ancora la data: 6 Novembre 2020. Durante il turno di lavoro, dopo una discussione mi sono nascosto in bagno e ho chiamato il sindacato. Eravamo in piena pandemia, sicuramente quella situazione stressante e pericolosa mi ha fatto molto riflettere. Ha cambiato le mie priorità. Mi ha aperto gli occhi, ho capito che a 36 anni potevo ancora svoltare. Così ho dato le dimissioni immediate, ero talmente nauseato che ho rinunciato al preavviso, non mi interessavano i soldi. Volevo solo scappare da quella situazione tossica. Senza un piano B.
Un mese dopo ho iniziato a lavorare come supplente in una scuola primaria, e sono rinato.
Michele: Come è stato cambiare senza un piano B?
Effe: All’inizio ero un po’ impensierito, mi ripetevo: “e adesso cosa faccio?” Ma ero troppo galvanizzato dalla prova di coraggio che avevo dimostrato a me stesso. Ero fiducioso. E poi è arrivata la chiamata della scuola. L’ambiente scolastico mi ha aperto un mondo.
Ah, per chiudere il discorso di prima: “ci tengo a precisare che in fabbrica, per avere un aumento, dovevi lasciare il sindacato e infatti tanti hanno ceduto al ricatto. La mia, invece, non era un’iscrizione tanto per scioperare o fare casini, ma di tutela e trasparenza. Comunque, alla fine mi hanno riconosciuto il terzo livello, con una scusa campata per aria. “Volevamo dartelo per meriti non per il contratto” mi dissero. Come se negli anni non avessi già fatto la mia parte. Lasciamo perdere.
Michele: E adesso Effe, com’è il tuo presente lavorativo?
Effe: Ho fatto qualche altra supplenza. Ho provato dei concorsi pubblici ma non sono andati a buon fine. Ho lavorato due settimane in Adecco nelle risorse umane, ma era più un call center e un raccogliere dati; ho fatto una prova ma si è rilevata diversa da come me l’avevano venduta. Tra un paio di settimane dovrei iniziare come addetto di un supermercato.
Michele: E cosa ti piacerebbe fare se potessi scegliere?
Effe: Mi piacerebbe lavorare in una libreria oppure tornare ad insegnare perché mi ha dato tanto a livello di crescita. Come dicevo, cerco un lavoro che mi dia soddisfazione. Nel tempo ho cambiato proprio approccio. Un po’ mi spaventa l’età visto che ho quasi 40 anni, ma sono fiducioso.
Michele: Da tutte queste esperienze, cosa hai imparato?
Effe: Ho imparato che bisogna avere più fiducia in sé stessi. Ti faccio un esempio: quando ero all’università, un giorno una recruiter vedendo il mio curriculum mi disse, dandomi una targhetta: “puoi lavorare solo in fabbrica”. Ed io sbagliando mi sono fidato di lei. Puntando in basso le ho creduto. In realtà se hai più fiducia in te, vedi tutto un altro mondo.
Michele: Grazie Effe, sei stato davvero coraggioso a raccontarti. In bocca al lupo per i tuoi progetti.
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