Oggi incontriamo Carlo Bisio, uno psicologo del lavoro, ergonomo ed esperto di sicurezza che porta un approccio fresco e innovativo nel mondo della sicurezza aziendale. Carlo unisce la sua passione per la mindfulness con l’obiettivo di creare ambienti di lavoro dove le persone possano essere più concentrate, sicure e… perché no, anche più felici.
Carlo, ho saputo che hai effettuato una giornata outdoor con manager di diverse aziende sul tema mindfulness collegata alla sicurezza e salute sul posto di lavoro. Raccontami un po’.
Ho organizzato un evento di un giorno in un ambiente immerso nella natura, insieme a manager di diverse aziende, responsabili delle aree HR e HSE. Durante l’evento, abbiamo esplorato in modo esperienziale, alternando momenti teorici, il punto di connessione tra la mindfulness e i temi della sicurezza e della salute sul posto di lavoro, con un’attenzione particolare alla sicurezza. La mindfulness è naturalmente associata al benessere, soprattutto per quanto riguarda la riduzione dello stress e l’aumento della resilienza; noi, però, abbiamo focalizzato la nostra attenzione su come le pratiche di mindfulness possano specificatamente contribuire a migliorare la sicurezza sul lavoro, attraverso un potenziamento della concentrazione e una conseguente riduzione di comportamenti rischiosi.
Perché la mindfulness?
La mindfulness ci insegna a stare nel momento presente in modo volontario, intenzionale e non giudicante, un compito piuttosto difficile per la nostra mente. Essere nel presente è ciò che spesso manca quando si contribuisce a causare un incidente. Ad esempio, potrei non accorgermi del rischio che sto correndo semplicemente perché in quell’istante la mia mente si preoccupa di ciò che dovrò fare dopo, oppure rimugina su ciò che ho fatto prima. Con questa consapevolezza, evito di diventare particolarmente vulnerabile. Per questo motivo la concentrazione, insegnata dalla mindfulness, acquisisce un valore fondamentale. Essa va coltivata attraverso tecniche di respirazione adeguate, che predispongono il sistema nervoso autonomo in modo più funzionale all’attività che stiamo svolgendo.
Una volta effettuato un corso di formazione sulla mindfulness in una condizione outdoor, si riesce a riprendere quella concentrazione di cui hai parlato quando si è al lavoro?
Proprio come un atleta che si allena quotidianamente per scendere in pista e affrontare una gara di 100 metri, senza lasciare nulla al caso, allo stesso modo, una persona che desidera mantenere uno stato di presenza e consapevolezza sul posto di lavoro deve esercitarsi con costanza, senza improvvisare. È necessario un allenamento sistematico, poiché un corso di formazione rappresenta solo il primo passo. Il nostro cervello si adatta e impara, come dimostrano le neuroscienze con la loro spiegazione della neuroplasticità cerebrale che accompagna tutta la nostra vita. La mindfulness, infatti, sembra influenzare direttamente il funzionamento del nostro cervello e le sue onde cerebrali. L’atleta sa bene che non può affrontare una competizione senza un allenamento rigoroso; lo stesso vale per la mindfulness: se le persone si allenano a raggiungere questo stato di consapevolezza attraverso la respirazione e la meditazione, sarà molto più facile richiamarlo nel momento in cui serve. Ci sono esperienze in azienda che lo dimostrano.
Un corso di questo tipo sarebbe particolarmente utile per i lavoratori, piuttosto che per i manager, considerando che l’attenzione è focalizzata sul tema della sicurezza.
Chi intraprende un percorso di mindfulness sperimenterà benefici, come la riduzione dello stress e un miglioramento della capacità di concentrazione. Tuttavia, per rendere questa pratica un progetto sistematico all’interno di un’organizzazione, è necessaria una pianificazione di change management, che coinvolga prima il top e il middle management, e successivamente i preposti e i lavoratori. In altre parole, oltre alla formazione, è fondamentale progettare e facilitare l’integrazione di queste pratiche all’interno dell’organizzazione. Ad esempio, all’inizio di ogni turno dovrebbero essere previsti alcuni minuti dedicati al “ritrovarsi”, per praticare il grounding, calmare la respirazione, oppure, prima di un’operazione a rischio, cosa fanno i preposti per preparare i lavoratori? Si prendono del tempo per guidarli in queste pratiche? Inoltre, è importante monitorare i risultati tramite indicatori (KPI), che non solo misurino gli effetti sulla sicurezza, ma anche sugli errori operativi. Per garantire il successo e la sostenibilità di questi processi, è necessaria una volontà politica forte, che promuova l’attivazione, il mantenimento e la facilitazione della pratica della mindfulness all’interno dell’organizzazione.
Sono pronte le aziende italiane per questa nuova progettualità?
C’è un bel fermento tra i professionisti di HSE e HR, che capiscono il potenziale della mindfulness. La sfida più grande è far passare questa visione ai piani alti delle aziende, dove a volte si fa fatica a tradurre l’entusiasmo in azioni concrete. Spesso emerge l’idea di organizzare corsi, ma la vera sfida sta nell’integrare queste pratiche nel mondo produttivo. È necessario creare le giuste condizioni affinché tali pratiche vengano davvero apprezzate e adottate. Ciò può avvenire mostrando, attraverso corsi, pubblicazioni, convegni, articoli, ecc., che la mindfulness può portare valore aggiunto, supportata da studi scientifici che ne dimostrano l’efficacia e che documentano che non si tratta di una moda passeggera. Per dirla in un altro modo, alcune questioni (come i chakra) non hanno evidenze scientifiche dirette, ma sono comunque concetti suggestivi e utili. Al contrario, le evidenze a supporto della mindfulness sono molteplici e ben documentate.
La necessità di evidenze scientifiche non rappresenta un limite per le aziende?
È interessante notare come, alla fine, molte decisioni in azienda si basino sulla fiducia nei consulenti, più che sui dati scientifici. Certo, i KPI sono importanti, ma non sono l’unica bussola. Le aziende più interessate ad applicazioni scientifiche devono però imparare a guardare oltre. Sebbene sia vero che la mindfulness abbia effetti su cui ci sono evidenze scientifiche, questo da solo non è sufficiente: va applicata all’interno di progetti più ampi, dove l’evidenza scientifica non è l’unica cosa rilevante per ottenere risultati concreti.
L’eliminazione della componente spirituale non rappresenta un limite della mindfulness? In fondo, la parola stessa (mind) richiama un’attività mentale. Non abbiamo, forse, bisogno di uscire dalla mente e nutrire lo spirito, fin troppo trascurato nella società odierna?
La mindfulness, in realtà, ci permette di comprendere chiaramente la relazione tra mente, corpo e respiro. Sebbene non parliamo esplicitamente di spirito, è vero che il benessere che si ottiene a livello corporeo si riflette anche nelle relazioni con gli altri, come nel caso della compassione, che la mindfulness contempla. A mio parere, questo è uno degli aspetti più potenti della mindfulness: ognuno può integrare la propria visione spirituale e religiosa, arricchendo la pratica con elementi del buddismo, del cristianesimo o di altre tradizioni. In questo modo, la spiritualità diventa accessibile, ma senza essere predefinita da una religione specifica. Questo punto è ben spiegato nel libro La meditazione come medicina. Scienza, mindfulness e saggezza del cuore, scritto da Jon Kabat-Zinn, Richard J. Davidson e Gyatso Tenzin (il Dalai Lama). Si tratta degli atti di un convegno scientifico che riporta evidenze sull’efficacia della mindfulness, al quale parteciparono scienziati e religiosi di diverse fedi. Pertanto, ritengo che le pratiche religiose e secolari possano arricchire la mindfulness senza escludere nessuna tradizione religiosa.
Carlo, questa intervista esce su ROCK’N’SAFE, dove parliamo di aziende ma col ritmo della musica, possibilmente rock. Quale canzone assoceresti all’esperienza che hai fatto di legame tra mindfulness e sicurezza sul posto di lavoro?
Al corso di mindfulness tocca mettere compilation con melodie rilassanti con lo scopo di agire sul sistema parasimpatico. Ma assocerei alla mindfulness l’album The Dark Side of the Moon dei Pink Floyd, per il modo in cui parla dei “mali moderni” (Time, Money), della salute mentale (Brain damage), e per la presenza di un brano che a mio avviso è decisamente rilassante pur trattando di rischi psicosociali (Us and them). La mindfulness si pone all’incrocio di tutti questi temi: ci aiuta a contrastare le distrazioni della vita moderna, a gestire lo stress e a coltivare la consapevolezza nelle nostre interazioni con gli altri.
Grazie Carlo!
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