Pochi giorni fa, in occasione della giornata Mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro, mi sono – nuovamente – interrogata su cosa debba essere davvero la sicurezza. Da cosa debba essere costituita, da quali pezzi, quali collegamenti, quali elementi concreti.
L’Organizzazione Internazionale del Lavoro ha dedicato questo evento del 2025 all’intelligenza artificiale e alla digitalizzazione, e a come le nuove tecnologie stiano trasformando la salute e la sicurezza sul lavoro. “Rivoluzionare” è la parola che hanno usato.
Rivoluzionare la salute e la sicurezza sul lavoro è esattamente quello che chi scrive e chi legge questo magazine ha in mente come faro in ogni cosa che fa, e rappresenta l’essenza stessa della community.
Non riesco però in questa occasione a non pensare a quanto la digitalizzazione e l’intelligenza artificiale siano distanti dai contesti in cui le persone ancora muoiono sul lavoro. Distanti, ma non diametralmente opposti.
E quindi, ragionando su cosa costituisca veramente la sicurezza, immagino un universo fatto di robot futuristici e programmi ultrainnovativi che gravitano insieme ai più elementari dispositivi di protezione individuale e collettiva, affianco immagini di intelligenze artificiali a contesti in cui persone lavorano senza nemmeno un abbigliamento adatto, senza nemmeno le scarpe adeguate. Mi passano alla mente riunioni e procedure di dettaglio e di livello tecnico altissimo intervallate da beceri copia-incolla di permessi di lavoro impolverati fatti di tante parole che non significano nulla.
Così cerco di fare ordine nella mia mente e ritorno al concetto elementare che la sicurezza è cultura. Quando l’obiettivo è lo sviluppo della cultura della sicurezza (e non, ad esempio, il mero adempimento normativo o il mettere le mani avanti nel caso in cui le cose vadano male), allora la strada è sempre quella giusta.
La cultura si cambia mattone dopo mattone con grande pazienza e con il tempo. Bisogna aggredire ogni pregiudizio con tanta energia e da tutti i fronti, smantellando pezzo per pezzo le credenze sbagliate che portano a comportamenti pericolosi.
E soprattutto, bisogna smantellare gli alibi. Non c’è mai abbastanza tempo o soldi, ogni soluzione alternativa è sempre impraticabile. Questo finché non succede la tragedia. Allora tempo, soldi e soluzioni compaiono magicamente.
Cambiare la cultura per ottenere la vera sicurezza è un lavoro continuo. I grandi eventi che smuovono le emozioni servono a disincrostare le coscienze ma devono essere affiancati e seguiti da una disciplina costante. Una disciplina e un ordine che devono essere impegno di tutti. Senza questo impegno diffuso su tutti i livelli, continuo e rigoroso, nemmeno l’esperto di sicurezza più preparato o la tecnologia più innovativa possono nulla.
E deve essere un percorso. Seguendo la stessa disciplina e rigore, deve essere un percorso ordinato e con un preciso obiettivo. Introduzioni normative scollegate, emesse sulla scia della ricorrenza annuale o del dolore per un infortunio, disorientano il percorso verso la cultura e non contribuiscono al risultato.
Se si vuole veramente ottenere questo risultato tanto auspicato di abbattere una volta per tutte gli infortuni e le morti sul lavoro, è necessario comprendere che tutti quanti, nessuno escluso, devono impegnarsi per ottenerlo. Deve terminare l’epoca in cui si crede che la sicurezza è complicata e quindi se ne occupano gli esperti, che è cosa che riguarda qualcun altro e quindi non sta al singolo capirla.
È ora che finiscano i discorsi in cui ci si aspetta che qualcun altro faccia qualcosa per cambiare la situazione, e ci si inizi veramente a interrogare su cosa ognuno può fare, da subito, ogni giorno.
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